CHRISTIAN PICCIOLINI, EX NEONAZISTA PROVA A REDIMERSI AIUTANDO ESTREMISTI E JIHADISTI

Christian Picciolini voleva diventare foreign fighter quando questo termine non era ancora diventato sinonimo di combattente straniero per lo Stato Islamico. Era ancora minorenne quando scrisse l’Afrikaner Weerstandsbeweging, gruppo di suprematisti bianchi che si opponeva all’abolizione dell’apartheid in Sudafrica, per convincerli a inserirlo tra le loro fila. Respinto dagli estremisti sudafricani, il ragazzo nato a Chicago da genitori italiani continuò a militare nel movimento skinhead americano, diventandone uno dei capi. La nascita di un figlio e alcuni incontri gli hanno cambiato la vita, anche la morte di suo fratello, al punto tale che ora è un neonazista pentito. Dopo otto anni di militanza tra gli estremisti, ha fondato un’associazione per combattere ciò che aveva aiutato a costruire. La musica si è rivelata fondamentale nel suo cambiamento: «Ho incontrato neri, ebrei, meticci, gay e i miei pregiudizi sono crollati una conversazione alla volta».



Vittima di bullismo perché italiano, Christian Picciolini è finito tra le braccia del neonazismo americano quando aveva solo quattordici anni. «Mi misero in crisi, mi fecero sentire così impotente da spingermi a cercare un’identità più forte». Oggi è in prima linea nel recupero degli ex estremisti: sta aiutando il programma Exit in Slovenia, Svezia, Germania, Regno Unito e Australia, ma è stato anche in Italia, a Frosinone e Manfredonia. Nonostante l’aiuto che sta offrendo anche per redimersi, Christian Picciolini continua a vergognarsi quando apprende che ci sono stati attacchi jihadisti. «Ogni volta che c’è un attentato, qualunque sia l’ideologia che la ispiri, mi sento profondamente responsabile per le idee che ho diffuso nel mondo come semi tossici», ha raccontato nell’intervista rilasciata a il Venerdì di Repubblica. Ora è un giardiniere che cava i semi tossici piantati tempo prima.



Christian Picciolini era un metro dei Chicago Area Skinhead. Non aveva genitori razzisti, anzi erano vittime di pregiudizi perché immigrati dalla Basilicata negli Stati Uniti. La mancanza di radici e la solitudine lo hanno reso vulnerabile. L’incontro con Clark Martell, fondatore del movimento degli skinhead americani, gli apre le porte del neonazismo. Col senno di poi ha compreso che dandosi come causa la salvezza della razza bianca stava provando solo ad alleviare il suo dolore personale. Da quando apparteneva ai nazionalisti bianchi americani ad ora sono cambiate molte cose nel movimento: più la forma che la sostanza. I vertici, avendo intuito la necessità di studiare e di rendersi più presentabili, sono diventati meno minacciosi. Ora usano termini più sfumati e modi più impliciti, ma i messaggi sono chiari per chi ha dimestichezza con quel genere di propaganda. La strategia, dunque, si è fatta più sottile.

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