Agosto 2006. Sulle colonne del New York Times viene pubblicato un lungo saggio firmato da David Foster Wallace intitolato “Roger Federer as religious experience” (uscito anche in Italia, pubblicato da Einaudi: imperdibile). Se 11 anni fa il più importante giornale del mondo dedicava tanta enfasi al tennista svizzero era perché aveva al suo attivo già quattro Wimbledon oltre un buon numero di altri slam. Luglio 2017. Roger Federer sulla soglia dei 36 anni si presenta puntuale a Wimbledon dove ha vinto per l’ultima volta (la settima) nel 2012. Tutti sanno che non è il Federer che veniva dato declinante del 2016, perché a gennaio aveva sorpreso tutti vincendo gli open d’Australia in una finale epica ai cinque set con Nadal. Ma nessuno osava pensare che il vecchietto 11 anni dopo quel saggio di Foster Wallace fosse in grado di vincere ancora il torneo più glorioso, senza neanche perdere un set. Eppure così è andata. Federer ha vinto il suo ottavo Wimbledon, cosa che non era mai riuscita a nessun altro tennista nella storia.



Federer ha battuto tutti e ha anche battuto sé stesso. Perché il tennista visto in campo in queste due settimane sull’erba un po’ spelacchiata di Londra è un tennista diverso da quello degli anni passati. È uno che sapeva di dover fare i conti con l’età e quindi ha dovuto alzare l’asticella della propria perfezione. Ma come si può essere più perfetti rispetto al giocatore così meravigliosamente descritto da Wallace? Federer aveva davanti a sé una sola opzione: giocare più facile. Ieri, durante la finale un po’ falsata dall’incidente al piede occorso al suo avversario, Marin Cilic, ad un certo punto abbiamo potuto capire cosa sia la facilità. A gioco fermo lo abbiamo visto rimandare nell’altro campo una pallina vagante con un colpo di rovescio che è passato un millimetro sopra la rete e che è caduto dove nessun umano avrebbe potuto prenderlo. Lo stadio è scoppiato in un boato: ma lì si è capito quanto sia diventato facile per il vecchio Federer giocare a tennis: la perfezione non richiede nessuno sforzo. Per cui si può essere perfetti anche in un colpo che non conta nulla. 

Federer gioca facile anche in forza della sua umiltà: prima dell’inizio di questa nuova stagione si è messo nelle mani di un allenatore che gli ha detto che doveva cambiare il modo di giocare e che doveva, lui il miglior tennista della storia, cambiare il modo di giocare il suo rovescio. Lui lo ha ascoltato, e dal suo rovescio abbiamo visto le giocate più fantastiche. L’umiltà rende facile la vita. 

Con il nuovo Federer i colpi più complicati per lui hanno sempre le soluzioni più semplici.  Per un avversario il confronto diventa a questo punto scoraggiante. Perché quello che devi sfidare è un giocatore leggero, che non ha mai l’ansia di dover inventare nulla per vincere. È un giocatore sempre con la testa dentro la partita, senza che questo comporti un logorio di stress. Lo abbiamo visto anche ridere a volte sul campo dopo degli scambi che lo hanno divertito per la loro imprevedibilità (non importa se vinti o persi). Raccontano che spesso rida anche negli spogliatoi prima di scendere in campo, vincendo così il primo game della partita psicologica senza ancora aver toccato una pallina. Non credo che lo faccia per strategia. Lo fa perché per lui il tennis non è qualcosa da conquistare, ma qualcosa da cui lasciarsi conquistare.