Nei giorni scorsi i legali di Michele Buoninconti, l’uomo accusato del delitto della moglie Elena Ceste e condannato a 30 anni di reclusione in primo e secondo grado, hanno presentato il ricorso in Cassazione. Un passaggio atteso nonché necessario soprattutto da parte della difesa del vigile del fuoco di Asti, che ha sempre sostenuto l’innocenza del proprio assistito puntando non sul delitto bensì sulla morte accidentale dovuta presumibilmente ad una caduta. A riferire del ricorso in Cassazione da parte degli avvocati Scolari e Marazzita, difensori di Buoninconti, è La Nuova Provincia nell’edizione online, che riporta anche il punto centrale attorno al quale ruota la tesi della difesa: come è possibile condannare a 30 anni (il massimo della pena con rito abbreviato) un uomo al termine di un processo squisitamente indiziario? E perché nei primi due gradi di giudizio non è mai stata conferita una perizia super partes ma c’è solo stato un confronto fra consulenti di pm, difesa e parte civile? A queste domande sperano possa dare una risposta la Suprema Corte. L’intenzione di presentare ricorso era stata già ampiamente anticipata sin dal giorno della lettura della sentenza di condanna da parte della Corte d’Assise d’Appello di Torino, quando cioè era stata confermata la sentenza di primo grado inflitta dalla Corte di Asti.



ELENA CESTE, LA DIFESA DI MICHELE BUONINCONTI CONFIDA NELLA CASSAZIONE

LE MOTIVAZIONI DELLA PRIMA SENTENZA

È notizia di qualche giorno fa che Michele Buoninconti, il vigile del fuoco condannato a 30 anni di reclusione per l’omicidio di Elena Ceste, ha dato mandato ai suoi legali di presentare ricorso in Cassazione contro la sentenza. Ma quali erano le motivazioni che in passato avevano portato i giudici della Corte d’Assise di Torino ad esprimersi in tal senso? In quel caso, come riferisce Leggo, i togati sancirono che “il movente è la scoperta del perdurante tradimento della moglie, avvenuto con il rinvenimento degli sms di S. il 21 gennaio e dunque con la constatazione che inutilmente (il Buoninconti, ndr) aveva ‘impiegato diciotto anni per raddrizzare vostra madre’, come dirà in una delle conversazioni intercettate in via ambientale ai figli, ai quali in un’altra occasione ricorderà che ‘già la mamma non ha voluto ascoltare il padre e…quando fate la fine di mamma ve ne rendete conto”. (agg. di Dario D’Angelo)



La difesa di Michele Buoninconti nel secondo grado puntava tutto sulla richiesta di una serie di perizie, atte ad accertare le reali cause della morte di Elena Ceste e che avrebbero potuto scagionare il proprio assistito. Tuttavia, in Appello l’imputato si vide negare tutte le perizie proposte dalla sua difesa, riguardanti anche l’analisi delle celle telefoniche. Una decisione che i due avvocati definirono “irragionevole” anche se ora tornano alla carica confidando nel lavoro dei giudici della Suprema Corte. Questi ultimi, avranno a disposizione un anno di tempo dalla sentenza in Appello per pronunciarsi sulla fondatezza del ricorso o rigettarlo e, in quest’ultimo caso, la pena inflitta al marito di Elena Ceste diventerà definitiva. Michele Buoninconti è in carcere dal gennaio di due anni fa ma si è sempre proclamato innocente nonostante le numerose prove contro di lui. Dal giorno del suo arresto, la sua vita è radicalmente cambiata a partire dal fatto che non vede né sente più i suoi quattro figli avuti nel corso del breve matrimonio con la povera donna di Costigliole d’Asti. Con sentenze univoche del Tribunale dei Minori, infatti, è stato deciso che l’uomo non potrà più incontrare o avere colloqui con i suoi bambini, dei quali ha perso la patria podestà. Tutti e quattro sono stati affidati ai nonni materni che stanno provando, per quanto possibile, a far vivere loro una vita normale, nonostante l’assenza di una madre e, in contemporanea, anche di un padre.