Va di moda. Ridere dopo un terremoto. E nella mente si forma l’immagine di quel ghigno beffardo, a metà strada tra un fumetto e un cartone animato, dove, nella nuvoletta, si materializza il fascio di banconote fruscianti. Non importa se dollari o euro. Con il terremoto imprenditori che assomigliano a banditi ridono immaginando il giro di affari, possibilmente loschi, che si possono mettere in atto. Era successo nel 2009, appena dopo il tragico terremoto dell’Aquila. E’ accaduto nuovamente, tanto da spingere gli investigatori a effettuare un’inchiesta che ieri ha portato a 35 persone indagate, di cui dieci agli arresti domiciliari, altre cinque all’interdizione alla professione.
Imbrogli, corruzione, tutto alle spalle di chi aspetta interventi dopo i terremoti che da otto anni devastano l’Italia centrale. Occasioni che offrono il fianco a menti perfide, capaci di lucrare sui soldi che lo Stato mette in campo per la ricostruzione. Soldi che escono dalle tasche degli italiani.
Nel mirino dell’inchiesta portata avanti dai carabinieri gli appalti pubblici della ricostruzione post terremoto 2009. Lavori su beni architettonici, su strutture pubbliche importanti, come il Teatro comunale dell’Aquila. Appalti gestiti in maniera clientelare, attribuendo a parenti e amici gli incarichi professionali, alcuni su scelta dell’amministrazione pubblica, altri chiedendo gli incarichi alle ditte che svolgevano i lavori. Condotte illecite da parte di funzionari pubblici inseriti nel contesto del segretariato regionale del Mibact.
I reati a vario titolo ipotizzati verso funzionari pubblici, imprenditori e professionisti sono di concorso in corruzione per l’esercizio della funzione, corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, turbata libertà degli incanti, falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, nonché soppressione, distruzione e occultamento di atti veri. Complessivamente poste sotto osservazione dai carabinieri ci sono anche le procedure relative all’assegnazione ed esecuzione di dodici opere di restauro di altrettanti edifici di interesse storico-culturale.
Indagini che fanno male, perché fa male scoprire che c’è ancora una parte d’Italia che vive sull’imbroglio, sull’affare illecito e soprattutto fatto sulle spalle di chi deve ricominciare dalle macerie. Il nome di spicco è quello di Berardino Di Vincenzo, 64 anni, dell’Aquila, ex segretario regionale del Mibact ora in pensione, agli arresti domiciliari e con il figlio tra gli indagati. Il nome che fa rumore tra gli indagati è quello di Vladimiro Placidi, 61 anni, dell’Aquila, tecnico ed ex assessore comunale alla Ricostruzione pubblica nella giunta di centrosinistra con l’ex sindaco Cialente. Da un paio d’anni Berardino Di Vincenzo è consulente della Regione Abruzzo, nominato dal presidente Luciano D’Alfonso, ed è stato tra coloro che hanno seguito il dossier del Masterplan per il Sud con lavori pubblici programmati per 1,5 miliardi di euro spalmati su 77 interventi.
L’imprenditore che ride è invece un pugliese, Vito Giuseppe Giustino, 65 anni, di Altamura (Bari), presidente del consiglio d’amministrazione della società cooperativa l’Internazionale, che sta ristrutturando il Teatro comunale dell’Aquila. Sulle carte degli investigatori risulterebbe che ride mentre viene intercettato al telefono. Nell’ordinanza il giudice per le indagini preliminari, Giuseppe Romano Gargarella, scrive: “RIDE”, in maiuscolo, censurando duramente la condotta. Giustino, che è tra le dieci persone finite agli arresti domiciliari, annuisce e ride parlando con il geometra della sua ditta, Leonardo Santoro, anche lui ai domiciliari, delle future commesse da acquisire, in particolare ad Amatrice, dopo le scosse di agosto 2016. Santoro racconta quello che ha detto a Lionello Piccinini, dipendente del Mibact Abruzzo, a sua volta finito ai domiciliari, dopo il terremoto del Centro Italia. “Se ti posso essere utile, voi fate l’elenco, mo’ dovete fare uno screening dei beni sotto vostra tutela: se vi serve qualcosa per i puntellamenti, via dicendo, noi siamo a disposizione”. E nell’ordinanza si legge che mentre Santoro racconta Giustino ride più volte. “Siamo strutturati, abbiamo una struttura potentissima e abbiamo bisogno di fare qualcosa per tenerci attivi. Abbiamo chiuso un po’ di cantieri e abbiamo diciamo una cinquantina di unità lavorative che non so dove c…o mandarle”.
Atteggiamento cinico degli imprenditori, si legge tra le 183 pagine dell’ordinanza di custodia cautelare. Ed è proprio questo cinismo che, seppur non configurato come reato, appare al mondo essere come il male peggiore, quello che permea gli uomini senza scrupoli, quelli che si sentono grandi e forti e belli e potenti solo attraverso il denaro, pulito o sporco che sia, sudato o rubato poco importa.