Forse è questo caldo estivo persistente, oppure, molto più probabilmente è la confusione che si vive all’interno dei partiti, non solo ormai senza ideologie di riferimento, ma neppure ideali minimi. L’ultimo “colpo di calore” scoppia nella testa di un consigliere comunale di Ancona, Diego Urbisaglia, 39 anni, del gruppo del Partito democratico. A sedici anni dal G8 di Genova e dalla morte di Carlo Giuliani, in quelle concitate giornate di protesta, dove trovare una ragione è veramente difficile, anche per tutte le inchieste e le polemiche che sono seguite, Urbisaglia si confessa con una dichiarazione, prima in modo perentorio poi con un retromarcia un po’ grottesca, che apre ferite antiche e rivela anche poco giudizio nello schierarsi dopo una tragedia.

Che cosa dice Urbisaglia, a “voce alta”, cioè su quella specie di attuale confessionale pubblico che è Facebook? “Estate 2001. Ho portato le pizze tutta l’estate per aiutare i miei a pagarmi l’università e per una vacanza che avrei fatto a settembre. Guardavo quelle immagini e dentro di me tra Carlo Giuliani con un estintore in mano e un mio coetaneo in servizio di leva parteggiavo per quest’ultimo”. Urbisaglia, continua: “Oggi nel 2017 che sono padre, se ci fosse mio figlio in quella campagnola gli griderei di sparare e di prendere bene la mira. Sì, sono cattivo e senza cuore, ma c’era in ballo o la vita di uno o la vita dell’altro. Estintore contro pistola. Non mi mancherai Carlo Giuliani”.

Certamente Urbisaglia non è un “buono”, ma a noi soprattutto, per dirla alla francese, sembra un “emerito pirla”. Ma com’è possibile, di fronte a una simile tragedia, ritornare, affidandole al pubblico, con simili dichiarazioni? Di fronte a tragedie di questo tipo, dove le colpe sono inevitabilmente più complesse che i dettagli delle “posizioni” sul terreno, ci vuole molto a comprendere un fatto del genere, restando semplicemente costernati e autoimporsi un silenzio doveroso di fronte anche a colpe e a responsabilità?

In questa situazione, con tutto il codazzo di polemiche e di posizioni contrapposte che sono seguite, la voce più responsabile ci è parsa quella di Giuliano Giuliani, il padre di Carlo, che ha detto: “Ho ben altro a cui pensare. Queste cose sono da ignorare. Certe frasi non meritano risposta. Non commento queste affermazioni”. Due deputati democratici precisano: “Le parole (di Urbisaglia) non sono solo sbagliate perché istigano alla violenza, ma sono ingiustificabili anche alla luce delle sue tardive scuse. Chi ricopre un incarico pubblico non può usare toni così violenti su un episodio così drammatico e calpestare quanto già oltretutto esaminato dalla magistratura”. Si invita quindi il partito a intervenire nelle sedi opportune contro Diego Urbisaglia.

Quello che più impressiona, in tutta questa confessione alla “rampazzo”, l’aspetto veramente più impressionante è quel “prendere la mira”. Ma anche nelle critiche sostanzialmente giustificate si intravede una mancanza di volontà di ricostruire una “verità storica” che è molto complessa, dove dovrebbe prevalere soprattutto la ragione e occorrerebbe fare il massimo sforzo per eliminare qualsiasi faziosità. In più, ripetiamo, di fronte alla tragedia che ha causato la morte di un giovane, che ha provocato infinite polemiche, il silenzio, al momento, sarebbe, la risposta migliore, che ci rende alla fine tutti partecipi e in parte responsabili di una faziosità che ci portiamo dentro senza saperlo.

Ma questo sembra un Paese dove discutere con faziosità, soprattutto sul passato magari non conosciuto, sia lo “sport” preferito. Come quello di parlare a vanvera. In questi giorni avevano già assistito alle “demenziali amenità” e sostanzialmente alle “cretinate deliranti” di un bagnino di Chioggia che “sposava” la spiaggia che gestisce con i ricordi del fascismo. È da ricoverare, nel migliore dei casi. A Latina è venuto fuori un putiferio perché un giardinetto intitolato al fratello del duce, Arnaldo, è stato dedicato a Falcone e a Borsellino. Altro delirio. Sembrano tutte scuse per litigare, per giustificare un’attività politica che probabilmente nessuno riesce più a capire bene che cosa sia e soprattutto non riesca nemmeno più a fare.