Quella di Mohammad Lahham è una storia che in Libano è destinata a scatenare polemiche e non poche critiche. Perché l’uomo, un musulmano fuggito agli orrori della guerra in Siria cinque anni fa, insieme alla moglie, ai loro due figli ed ai suoi genitori, svolge un mestiere definito dai più come “proibito”. Nulla a che fare con pratiche legalmente vietate, anche se non la penserebbe nel medesimo modo la tradizione islamica, molto rigida sotto questo punto di vista. Mohammad, conosciuto con il soprannome di “Abu Iskandar”, vive in un sobborgo meridionale di Beirut con la sua famiglia e qui fa scandalo a causa del suo lavoro. L’uomo, infatti, l’uomo fa lo scultore e nello specifico crea statue di santi cristiani nel suo studio, a 40 km a Sud della città. Un mestiere che lo appaga nonostante sia considerato una sorta di tabù.
IL MUSULMANO DAL LAVORO PROIBITO, LA STORIA DI MOHAMMAD LAHHAM
ROMPERE I TABÙ PER RIUNIRE LE PERSONE
E’ un lavoro “vietato” secondo le voci comuni, quello svolto da Lahham se si pensa a quanto stabilito dai dettami della tradizione islamica che di fatto scoraggia le rappresentazioni delle divinità in forma fisica. Un’idea, questa, basata sul consiglio del Profeta Muhummad e riservato ai suoi seguaci a non adorare i propri idoli. “Vengo da Damasco, in Siria, ma sono fuggito in Libano durante la guerra”, ha dichiarato Mohammad Lahham alla Bbc. “Non posso rispondere alle accuse di ‘lavoro vietato’. Sono uno straniero in questo paese. Solo la gente del posto chiede del mio lavoro proibito”, ha aggiunto. Ma come è nata la sua idea di svolgere questo lavoro che in un paese come il Libano? “Ho imparato a produrre statue sul telefono”, ha raccontato. Nonostante le critiche, lui ha un’idea ben chiara del suo lavoro, che a sua detta potrebbe contribuire a rompere i tabù aiutando così a riunire le persone. Spiega ancora, mostrando le sue statue di Santi e Madonne: “Per esempio, nostra Vergine Maria. Io sto realizzando una scultura per lei, ma non chiedo a nessuno di pregare per lei”. Il giovane musulmano a Damasco ha raccontato di avere un grande negozio di cuoio, ma dopo la guerra tutto è andato distrutto. “Non lavoro qui per denaro”, ha infine aggiunto. “Alla fine guardo i pezzi che ho realizzato e sono contento”.