Non poteva concludersi in un modo più vero, umanamente carico di amore genitoriale e di senso religioso della vita, la drammatica situazione sanitaria e giuridica del piccolo Charlie Gard – affetto da una forma grave di sindrome da deplezione del Dna mitocondriale legata a mutazioni nel gene RRM2B – che ha tenuto col fiato sospeso il Regno Unito ed il mondo intero. Un epilogo che ha spiazzato i “pre-giudizi” clinici, giurisprudenziali, e relazionali sui quali era stata costruita tutta l’impalcatura che ha retto l’intera vicenda finché non è crollata sotto il peso schiacciante della mobilitazione di numerosissimi cittadini in Inghilterra e nel mondo, i puntuali interventi del Papa e di alcuni capi di stato, ed i potenti riflettori dei media nazionali ed internazionali.
Il primo pregiudizio, quello clinico, era alla base della diatriba, sorta fin dai primi mesi successivi alla diagnosi della malattia di cui soffre Charlie, tra i medici del Great Ormond Street Hospital (Gosh) di Londra e i genitori del bambino. Secondo i sanitari del Gosh, tutto quello che – conformemente ai loro protocolli clinici e ai criteri assistenziali neonatali e pediatrici in vigore presso il nosocosomio britannico – era corretto fare, risultava essere stato attuato, ma senza alcun apprezzabile miglioramento delle condizioni di Charlie, le quali, anzi, andavano aggravandosi con il passare del tempo.
Come abbiamo già avuto occasione di osservare sulle pagine de Il Sussidiario, questa posizione, per quanto espressione di una altissima professionalità clinica (che nessuno contesta al Gosh, la cui fama di eccellenza nell’assistenza neonatale e pediatrica è indiscussa), manca di una dimensione imprescindibile della scienza e dell’arte medica: quella legata alla categoria suprema della ragione: la possibilità che, al di là di ogni “già dato”, vi sia un non ancora esperito attraverso il quale il Mistero che fa essere tutte le cose, la vita e il mondo intero si manifesta nella sua assoluta libertà, in forme imprevedibili e impreviste, ma che passano – per quanto concerne la malattia – anche attraverso la scoperta di aspetti precedentemente non indagati della fisiologia, della patologia e della terapeutica.
Ogni buon medico deve essere non solo un ottimo conoscitore dello “stato dell’arte” attuale della medicina così come egli la ha appresa e la applica ogni giorno con perizia e dedizione grande, ma anche aperto a quello che i suoi colleghi e i ricercatori clinici in ogni parte del mondo stanno scoprendo e sperimentando. Questo vale con maggior forza nel caso delle malattie rare e rarissime – come quella di cui soffre Charlie – per le quali nessuno medico o studioso singolarmente preso, per quanto preparatissimo egli sia, può considerarsi depositario di un sapere e di un saper fare. Solo una concertazione internazionale rende costantemente “aperti” a nuove possibilità diagnostiche, terapeutiche e curative.
Il pregiudizio autoreferenziale dei medici del Gosh è caduto quanto, due settimane fa, su iniziativa del giudice Nicholas Francis della High Court che si occupa del caso, essi anno accettato che un perito esterno, il professor Michio Hirano, coadiuvato da colleghi internazionali suggeriti dall’ospedale Bambino Gesù, venisse a Londra per esaminare il bambino e studiare i referti delle indagini strumentali su di lui eseguite, al fine di valutare la appropriatezza clinica di un tentativo di terapia sperimentale con desossiribonucleosidi, della quale Hirano è il massimo esperto.
Questa apertura del Gosh ad una second medical opinion, accordata su istanza del giudice, avrebbe potuto realizzarsi molti mesi prima, poco dopo il completamento dell’iter diagnostico dirimente, quando i genitori di Charlie avevano chiesto ai medici londinesi di poter sottoporre il loro figlio alla terapia di bypass metabolico di Hirano. Questo ritardo è risultato negativo per le possibilità, pur limitate, di successo di questo tipo di terapia che, sebbene ancora allo stato sperimentale, ha un solido presupposto biologico e metabolico, ma richiede – al pari di tutte le terapie metaboliche per le malattie genetiche ereditarie rare – di essere applicata quanto prima possibile dopo il parto. Ogni settimana e mese che trascorrono dalla diagnosi aggravano il danno da metaboliti tossici, tra i quali l’acido lattico ed altri acidi organici e le specie reattive all’ossigeno (i cosiddetti ROS), che provocano ingenti danni biochimici alle cellule.
Nel caso di Charlie, a venire danneggiati in modo particolarmente grave e progressivo sono stati il sistema nervoso centrale ed il muscolo cardiaco e scheletrico. Questo spiega la ragione per la quale Hirano e i suoi colleghi non hanno ritenuto clinicamente appropriato procedere alla terapia metabolica sperimentale e ne hanno comunicato le ragioni mediche al giudice ed ai genitori di Charlie. E’ così ora evidente a tutti – medici curanti del Gosh, giudice e comunità civile – il tempo perduto in lunghe contese extragiudiziali prima e giudiziali dopo, che hanno portato troppo tardi a prendere in seria considerazione quanto chiesto a suo tempo dai genitori, i quali non hanno ora potuto fare altro che riconoscere, con grande ragionevolezza e realismo, che ogni tentativo di terapia sperimentale, allo stato clinico attuale (convincentemente documentato dal perito esterno e dai clinici che hanno esaminato i referti delle indagini strumentali eseguite) sarebbe sproporzionato rispetto all’esito prevedibile e non arrecherebbe reale beneficio al bambino.
Il secondo pregiudizio, quello giurisprudenziale, riguarda il presunto disvalore umano della vita del piccolo Charlie, gravata dalla malattia e da una sofferenza che è stata ritenuta “inaccettabile” per un bambino, e le sue scarse “aspettative di vita “. Il fatto (indubitabile) del numero impressionante di persone che si sono interessate al suo caso, non solo in Inghilterra ma anche in Europa e fuori di essa, tra le quali anche i medici e i ricercatori che hanno aderito all’iniziativa del Bambino Gesù e lo stesso professor Hirano che è giunto appositamente dagli Stati Uniti, e la “montagna” di suppliche e di preghiere che si sono levate per Charlie ed i suoi genitori, mostrano con evidenza inesorabile il valore di ogni vita umana individuale, anche quella del più piccolo e debilitato degli soli esseri viventi che Dio ha creato a Sua immagine e somiglianza (cf. Gn 1, 26).
Nella sua ultima decisione, quella di richiedere una perizia per valutare la possibilità di un estremo tentativo terapeutico per Charlie, il giudice Francis ha messo da parte le argomentazioni pregiudiziali sulla “qualità della vita” del bambino e ha volto lo sguardo alla realtà della sua condizione fisica, alla possibilità di risposta della sua malattia, al suo stato clinico attuale purtroppo compromesso irreparabilmente dal troppo tempo trascorso nell’abbandono terapeutico (le cure intensivologiche praticate sono degli appropriati “sostegni vitali” e non contrastano la progressione degenerativa della malattia). “Sostegni vitali” quali l’idratazione, la nutrizione, l’assistenza respiratoria, l’analgesia e le altre forme di cura della persona non possono comunque venire sospesi sino al precipitare del quadro clinico del bambino che prelude la sua morte imminente, in quanto questi trattamenti non si configurano come una terapia per la sua patologia, ma rappresentano atti dovuti e finalizzati ad alleviare le sofferenze del piccolo malato fino agli ultimi momenti della sua vita. Un pregiudizio che è stato anch’esso scalzato via sotto la tenace resistenza dei genitori di Charlie e la forte pressione della pubblica opinione, in larghissima parte favorevole alla istanza terapeutica di Connie e Chris.
Infine, la decisione di ieri dei genitori di non insistere ulteriormente per un tentativo terapeutico, che appare inappropriato a fronte delle condizioni cliniche attuali di Charlie e potrebbe risultare troppo gravoso per lui, toglie di mezzo anche il pregiudizio presente nei medici del Gosh e, almeno in apparenza nelle prime fasi del dibattimento, anche nel giudice della High Court: quello che i genitori del bambino non abbiano voluto o saputo confrontarsi razionalmente e correttamente con i clinici che hanno in cura Charlie e prendere decisioni libere da ogni sentimento non messo bene a fuoco e da condizionamenti esterni ad essi.
Al contrario, Chris e Connie hanno ora mostrato la loro autentica libertà e piena responsabilità nei confronti del destino del loro unico figlio, riconoscendo ciò che è conforme al suo bene autentico e rifiutando ogni ostinazione irrazionale e irrealistica in un tentativo terapeutico che, allo stato attuale delle sue condizioni, non corrisponderebbe all’amore che essi hanno per lui. Quello dei due genitori di Charlie è stato un gesto pienamente ragionevole, solidamente realistico e moralmente condivisibile. Mentre la vicenda clinica, deontologica e medico-legale di Charlie dovrà essere approfondita quando saranno resi disponibili i dati e la documentazione necessari per uno studio metodico, e questo caso meriterà di essere presentato e discusso con i nostri studenti di medicina e scienze infermieristiche, il gesto ultimo di Connie e Chris si pone sin da ora, agli occhi di tutti, come un grande gesto di due grandi genitori.
Un gesto di libertà e di amore gratuito, non di possesso e di strumentalità. «Lasceremo andare nostro figlio con gli angeli»: sono queste la parole di chi affida proprio figlio a Colui che glielo ha donato, non importa se per un anno o una vita intera, dopo aver fatto tutto il possibile per strapparlo alla morte attesa. «Siamo profondamente dispiaciuti per non essere riusciti a salvarti, ma ti amiamo moltissimo e continueremo a farlo in futuro». Ne siamo certi, cari Connie e Chris, e continueremo a pregare per lui e per voi.