Era il 26 luglio 2016 e Padre Jacques Hamel nella piccola chiesetta di Saint-Étienne-du-Rouvray in zona Rouen venne sequestrato, minacciato, sgozzato e lasciato morire da due giovanissimi terroristi dell’Isis. La Francia rimase sotto shock e per giorni ci furono inchieste e commenti su quello che è stato un palese attacco alla Chiesa e alla “religione” della pace, identificata in quell’inerme e fragile 85enne che stava semplicemente facendo il suo umile compito di annunciare il Vangelo. È passato un anno e l’Osservatore Romano ha voluto intervistare l’arcivescovo di Rouen, Dominique Lebrun, all’epoca dei fatti appena nominato presule della comunità in cui faceva parte quell’anziano sacerdote barbaramente martirizzato. «Mi è rimasto impresso il segno della morte straordinaria di questo prete esemplare, la cui semplicità parla a tutti e fa di lui un prete universale». Un anno di lutto e di memoria, per un prete per cui è stato avviato il processo di beatificazione: «Padre Hamel — e la sua morte — sono entrati a far parte del mio quotidiano. Come potete intuire, adesso che è morto, padre Hamel è ancora più vivo. La sua figura di sacerdote, semplice ed esemplare, mi interroga come pastore e vescovo sul modo di considerare la vita dei preti, su quello che mi aspetto da parte loro in termini di “efficienza”. Devo senza sosta convertirmi, passare da questa richiesta di efficienza all’ammirazione per la loro fecondità». Proprio la conversione testimoniata da quell’umile prete è quanto di più potente e odiato dal nemico terrorista, non solo per l’Isis ma per tutte le grandi ideologie avverse alla Chiesa e alla “rivoluzione” di Cristo Gesù.
ANNIVERSARIO ATTENTATO DI ROUEN: IL MARTIRIO DI PADRE JACQUES HAMEL
FECONDITÀ E SEMPLICITÀ
«L’efficienza consiste nel voler ottenere qualcosa con i propri mezzi, la fecondità invece deriva dal fatto che siamo in due, che è la grazia del Signore che agisce, proporzionalmente alla nostra santità e non alla nostra ingegnosità e alle nostre capacità riconosciute da una comunità o dalla società. Sì, posso dire che quello che è avvenuto mi ha trasformato come vescovo», spiega ancora all’Osservatore Romano l’arcivescovo di Rouen davanti all’evento drammatico del martirio, eppure con dentro una speranza assurda e inspiegabile che accompagna tutti i fedeli di quella comunità da 12 mesi a questa parte. Ma padre Hamel chi era davvero? «Un sacerdote semplice ed esemplare. Forse esemplare perché semplice. Il secondo aspetto è la sua morte, straordinaria, che somiglia alla morte di un martire, alla morte di Gesù, cioè a un innocente che ha dato la sua vita per Dio e che è stato ucciso consacrandosi a Dio». È interessante il fatto che per il vescovo che così poco ancora conosceva all’epoca dell’attentato padre Jacques Hamel, quell’evento è come se lo avesse cambiato, in qualche modo convertito, con un “processo” ancora in fase di costruzione, dove nulla è compreso fino in fondo. «Questo resta per me qualcosa di ancora nuovo, allo stato embrionale, che non ha ancora prodotto il suo frutto, che mi sorprende ancora, e che in un certo modo non mi appartiene più. Ci vorrà del tempo, questo dipenderà da quello che vive il popolo di Dio ma anche dall’opinione pubblica in senso più largo».
IL PROCESSO DI BEATIFICAZIONE
Padre Hamel è considerato già ora dalla Chiesa un martire per quello che è successo un anno fa: ucciso mentre celebrava l’Eucaristia e fino all’ultimo senza rinnegare nulla della sua fede, come invece gli veniva chiesto dai due giovanissimi jihadists islamici. «La storia del processo di beatificazione di padre Hamel comincia all’indomani della sua morte: la parola martire è pronunciata da numerose persone e si ritrova nelle varie lettere che ho ricevuto», conferma l’arcivescovo di Rouen nel colloquio con l’Osservatore Romano. Ma è stato Papa Francesco a “svoltare” sulla causa di beatificazione, come ricorda lo stesso presule francese: «eravamo stati invitati a partecipare alla messa di Papa Francesco a Santa Marta, il 14, festa dell’esaltazione della Santa Croce. Come si sa, il Papa ha personalmente pronunciato queste parole forti: «È un martire! E i martiri sono beati, dobbiamo pregarlo». Da quel momento, Lebrun si è attivato andando dal prefetto della Congregazione delle cause dei santi, il cardinale Angelo Amato, «abbiamo pensato di chiedere al Papa se fosse suo desiderio abbreviare i tempi. È quello che ha fatto, indicando che bisognava forse accelerare i tempi per beneficiare degli elementi di prova che sono le testimonianze delle altre vittime dell’attentato, prevalentemente molto anziane». Padre Hamel ha visto accelerare e non poco il suo processo di beatificazione anche per quella che viene in gergo ecclesiastico definita, «odore di santità o di martirio». «E quello che è chiamato sensus fidei, quello che il popolo di Dio, e più largamente oggi l’umanità, può percepire di questa eco autentica di santità di Dio. Lo vedo attraverso i turisti che visitano la cattedrale di Rouen, le persone che si recano alla chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray o presso la sua tomba. Lo vedo anche nelle lettere che ricevo o negli incontri con persone esterne. Effettivamente, la sua semplicità parla a tutti: è stato un prete cattolico, un prete universale», afferma senza remore l’arcivescovo di Rouen, ricordando in questo primo anniversario quel “seminatore” di pace qual’è stato senza dubbio il sacerdote martirizzato dallo Stato Islamico nel triste 26 luglio 2016.