Bruno Contrada, 86 anni, è un uomo libero e innocente da ogni accusa. Lo è da quando la Cassazione, poche settimane fa, ha revocato ogni sentenza contro di lui e anzi detto che nessun processo andava fatto. L’accusa di associazione mafiosa invece gli ha fatto passare ben 10 anni tra cercare e arresti domiciliari. Un curriculum di prestigio assoluto (20 anni di squadra Mobile, 6 di Criminal Pol e altri 4 nell’Alto commissariato per la lotta contro la mafia e per 10 anni nei servizi di sicurezza, numero due del Sisde) e la sentenza della Cassazione dovrebbero essere abbastanza per lasciarlo finalmente in pace. Invece, come si legge in una intervista pubblicata dal quotidiano Il Dubbio, la polizia si è presentata lo scorso 26 luglio a casa sua a Palermo alle 4 di mattina con una ordinanza di perquisizione da parte della procura della Repubblica di Reggio Calabria.
Il motivo? Una indagine su fatti di mafia e ‘ndrangheta risalenti all’omicidio di due carabinieri nel 1994, quando Contrada era già in carcere. Tutto perché, sembra di capire, quando Contrada drigieva la squadra mobile di Palermo tra il 1973 al 1976 prestava servizio fra i tantissimi agenti anche Giovanni Aiello, poi implicato in associazione mafiosa. Giustamente Contrada dice di ricordarlo appena vagamente e di non aver niente a che fare con lui. Allora perché questo accanimento verso l’anziano pensionato? Significa che le varie procure, in questo caso quella calabrese, se ne infischiano della sentenza della Cassazione e agiscono indipendentemente, continuando a ritenerlo implicato con la mafia. Almeno, spiega l’uomo, mi avessero avvertito che sono indagato o sospettato di qualcosa. E’ stata perquisita anche la casa del fratello a Napoli. Cosa hanno trovato? Nulla. Ma questo non lascia sereno l’ex dirigente del Sisde, che a questo punto sente il fiato sul colo della “giustizia” per il resto della sua vita. Con quanti criminali può aver infatti avuto a che fare nel corso della sua carriera? Sarà sospettato per ogni caso aperto? Inquietante.