Egregio direttore,
sto seguendo con vivo coinvolgimento la nota vicenda del piccolo Charlie Gard, di cui in questi giorni si stanno scrivendo fiumi di parole.
Lungi dal voler fornire l’ennesima opinione medica o giuridica in tema — penne più autorevoli possono certamente farlo meglio di me, se lo vogliono — mi interessa in queste poche righe riflettere su cosa l’intera vicenda può insegnare a me come cittadino, come genitore e come uomo.
Nell’odierna società dell’informazione liquida, la tecnologia ci offre canali ultra-accessibili per raccogliere informazioni ed esprimere le nostre idee e opinioni: sembra però che il secondo uso sia completamente prevalente rispetto al primo. In casi sensibili e delicati come quello di Charlie, sembrerebbe sensato innanzitutto informarsi accuratamente prima di esprimere giudizi (una variazione sull’adagio popolare “pensare prima di parlare”), mentre noto con grande tristezza che a prevalere, ancora una volta, è l’uso di penne e tastiere come megafono di opinioni sommarie, basate più su posizioni precostituite ed ideologiche che su dati e fatti.
La pericolosità di questo atteggiamento ha una prima conseguenza nella creazione di due schieramenti le cui voci sono inconciliabili in partenza, non per un giudizio raggiunto dopo un’analisi dei fatti, ma all’opposto, per convinzioni che dai fatti prescindono quasi completamente e che anzi usano questi — complessi, dolorosi e misteriosi — come pretesto per “gridare”, possibilmente più forte dell’avversario.
Il secondo e più grave esito di questo completo scavalcamento del fatti è l’impossibilità di un dialogo costruttivo su temi che di dialogo hanno così tremendamente bisogno: per costruire un contesto sociale libero e positivo, non è possibile prendere come punto di partenza un’opinione già formata ed inattaccabile. Oltre all’importanza di informarsi accuratamente, la convinzione che l’altro — con la sua storia, le sue complessità e i suoi punti di vista — sia una ricchezza per la mia crescita di uomo è fondamentale e imprescindibile per un dialogo vero e proficuo.
Solo così può nascere un reale rispetto e stima dell’altro come di un fratello, e da qui si apre la possibilità e la libertà di provare ad entrare in rapporto con il cuore della questione, come hanno fatto Letizia Zuffellato ed Elvira Parravicini nelle lettere pubblicate sulle vostre pagine. Sono tentativi come i loro che mi aiutano a guardare il dramma di un bimbo e di due genitori che solo la mia superficialità può pensare di risolvere con una battaglia ideologica: il tentativo di guardare all’origine e al destino della vita, il tentativo di dare a due genitori lacerati dal dolore una prospettiva per vivere il tempo loro concesso con Charlie e poi — se così dovrà essere — la vita senza di lui.
È di questo che ho bisogno per stare di fronte a una situazione così, nello sgomento che provo anche al solo pensiero di trovarmi in una circostanza simile. Trovando infine una vera pace per il compito di paternità che ho io da vivere con mio figlio, sano non certo per mia bravura o merito, ma riconosciuto ancora una volta come dono totalmente gratuito per me e per il mondo.