“Bambini incompatibili con la vita”: non è in sostanza quanto la Corte europea dei diritti umani e i medici del Great Ormond Street Hospital hanno sentenziato nei confronti di Charlie Gard? Lo è, eccome, ma per fortuna almeno in Italia c’è chi di questi bambini si prende cura lo stesso. E’ la Fondazione Maddalena Grassi, che opera da 25 anni con malati in condizioni drammatiche e che recentemente ha cominciato a occuparsi anche di bambini a partire da un caso familiare personale, quello del nipote del dott. Maurizio Marzegalli. Oggila Fondazione ne assiste circa un centinaio: “Respirano tramite ventilazione meccanica e mangiano attraverso una sonda. Molti sono cerebrolesi, con compromissioni neuropsichice, importanti deficit motori e sensoriali, compromissioni della capacità di respirare, di alimentarsi e di comunicare. Ma vivono. E vogliono vivere, per quanto possibile, nella loro casa”. La notizia poi delle ultime ore che l’ospedale del Bambin Gesù di Roma in accordo con il Vaticano si è detto disposto ad accogliere Charlie, quantomeno per concedergli il diritto a lui e ai genitori di una morte questa sì fatta di “diritti umani”, apre ad una misericordia che appare provvidenzialmente lontana da quella cultura degli “scarti” di cui papa Francesco parla così spesso.



Bambini in condizioni gravissime,  che non camminano, che non si nutrono, non parlano, assistiti a casa con appositi macchinari e la presenza di infermieri pediatrici, medici, fisioterapisti dell’età evolutiva, ausiliari: una multi professionalità che si muove a seconda del bisogno, questa è la Fondazione Maddalena Grassi. Ne abbiamo parlato con Maurizio Marzegalli.



Professore, la vostra Fondazione negli ultimi anni ha aperto il suo lavoro ai bambini in condizioni gravissime, di cosa si tratta?

La Fondazione Maddalena Grassi è nata 25 anni fa con l’esperienza di un gruppo di sanitari ospedalieri. Negli ultimi anni si è sviluppato il tema dei minori con gravissime disabilità ,dovuto anche al fatto di questo mio nipotino nato con una paralisi cerebrale infantile. Tutto questo perché il bisogno era sempre più evidente, la Asl stessa ci ha chiesto di occuparcene. Tra le 2mila persone che seguiamo ci sono circa cento bambini con gravissime disabilità seguiti nel contesto della famiglia.



La vostra caratteristica infatti è di offrire un accompagnamento medico a casa, è così?

Questi bambini alternano momenti di acuta gravità, noi lavoriamo in strettissimo contatto con gli ospedali, le cliniche universitarie, ci occupiamo della parte domiciliare, ma questi bambini hanno sempre periodicamente delle crisi quindi è necessaria una sinergia nei pazienti cronici fra genitori e ospedali. E’ indispensabile che ci sia. Non è pensabile che l’ospedale sia la loro casa, ma neanche che il territorio possa fare a meno dell’ospedale. 

Che tipi di assistenza date? 

Bisogna disegnare il piano assistenziale secondo i casi. Può trattarsi di una assistenza due volte la settimana per un’ora oppure, in casi terminali, anche di una assistenza superiore alle 24 ore. In questi casi non c’è luogo migliore che della casa per accompagnare il bambino alla fine della sua vita.

Come giudica il caso del bambino inglese Charlie Gard? Quello che chiedono i genitori è che possa morire a casa. 

Charlie Gard grazie agli strumenti più avanzati che ha la medicina oggi si può tenere in vita anche se la situazione è estremamente grave. E’ anche vero che ci vuole una delicatezza enorme: sono bambini che non possono guarire, si devono assistere anche con cure palliative, ma bisogna sempre accompagnare la famiglia che ha la responsabilità delle scelte. Non deve esserci né un accanimentio né un abbandono. Questo è un lavoro delicato anche per un rispetto assoluto al dolore dei genitori. E’ il punto più drammatico. Fare ideologia in casi come questi è la cosa che assolutamente vogliamo evitare.

Secondo lei quello di Charlie è un caso di accanimento terapeutico?

Si sono lette mille informazioni diverse, personalmente non oso entrare nel merito specifico. Sono situazioni di estrema problematicità, sono mille i punti su cui giudicare. Noi tendiamo ad accompagnarli a casa e accompagnare a casa il decesso, ma in accordo con l’ospedale. Decidere quando è accanimento o se è giusto interrompere le cure straordinarie è quanto di più difficile esista. Quando lo facciamo, accade in unità assoluta tra genitori e medici. Deve esserci un grosso lavoro di giudizio comune, proprio perché anche la famiglia che ha l’onere di fare queste scelte va accompagnata.

Qui però sono intervenuti i giudici, sopra i medici e sopra la famiglia, che ne pensa?

Dico che ci sono stati alcuni casi qui in Italia dove i giudici hanno obbligato a fare cure senza senso giudicate a posteriori assurde, come nel caso delle cure staminali di Brescia e Torino. In questo caso i giudici hanno ritenuto che la cura sperimentale fosse su basi troppo poco solide. I genitori cercano sempre la cura miracolosa che tante volte si rivela deludente. Direi che un giudice che obbliga a cure sperimentali è altrettanto folle di uno che ordina la sospensione di ogni cura.

Che ne dice dell’offerta dell’ospedale del Bambin Gesù di Roma di prendersi carico di Charlie, nei suoi ultimi giorni?

Ben venga questa iniziativa con tutti i limiti che ci sono, che possono essere devastanti per i genitori quando si sentono dire questo ospedale è meglio di quell’altro. Io sottolineo la necessità di estrema delicatezza che bisogna avere nei confronti dei genitori che vivono un peso enorme. Senza però disorientarli.

La strada da seguire sembra sia la vostra, medici e famiglie che operano in assoluta comunione di giudizio. 

La strada giusta è unità di consenso fra genitori e medici. Ci sono purtroppo poche realtà in Italia simili alla nostra, noi operiamo su Milano e dintorni ma dobbiamo rifiutare dei casi perché manca il personale, perché curare in casa è più impegnativo. Abbiamo dei ritorni validi, dalle famiglie e dagli ospedali, ci riconoscono la capacità di muoversi con delicatezza su casi così difficili senza distruggere famiglie già provate. Quante volte percepiamo speranze non realistiche e come i genitori pur sapendo che non sono realistiche sperano ancora. Anche un tentativo di cura è un crinale difficilissimo fra l’accanimento e la sperimentazione. Il primo da difendere è sempre il bambino, a cui dare una speranza realistica, navigando tra il pericolo di abbandono e l’accanimento terapeutico.

(Paolo Vites) 

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