Non c’è comico che si rispetti che non sbeffeggi il potere. Della serie “il re è nudo”. Paolo Villaggio da Genova dette di ciò saggio preclaro sin da giovanissimo, quando con l’amico genovese De André tirò fuori quella storia di Carlo Martello reduce dalla gloriosa battaglia di Poitiers che, da vero eroe, era sofferente non per le ferite ma per la lunga forzata astinenza dal sesso; indispettito per di più per il caro-escort nel frattempo intervenuto al punto da fuggire spudoratamente senza pagare il conto. 



Fin qui, sputtanare il potente mostrando che sotto l’armatura dell’alto ruolo c’è un povero pisquano come tutti e anche peggio, è cosa divertente e apprezzabile. Ma la vera novità fu Fantozzi. Novità partorita dopo una full immersion nel cabaret milanese, quello del Derby firmato Jannacci, Cochi e Renato e compagnia di stralunati fuori dagli schemi fin che si vuole, ma fuori dagli schemi proprio perché la fonte ispiratrice non era più la maniera dell’avanspettacolo, ma direttamente la realtà sociale. Se non sei fuori dagli schemi non trovi né l’ispirazione né il coraggio di sputtanare il non-potente, il ragionier Ugo Fantozzi, impiegatuccio sfigato e meschino. 



Intanto alla fine degli anni sessanta, quando Villaggio Mago Kranz introdusse prima il timido sottomesso cacasotto Giandomenico Fracchia e poi il Fantozzi, degli impiegati non si parlava. La realtà sociale era interpretata secondo lo schema borghesia (cattiva), proletariato (buono), lotta di classe (giusta). Tute blu, non colletti bianchi. Diventare colletto bianco era l’aspirazione, quasi sempre raggiunta, dei figli degli operai: la bellezza del lavoro di penna, al posto del sudore del lavoro di falce o di martello. 

In verità sotto il colletto bianco, negli anni del capitalismo consumistico, si nascondeva un nuova alienazione, non necessariamente di valore-lavoro marxianamente occultato nella merce a beneficio del capitale. Fantozzi non si sa cosa produca. L’operaio sfruttato lotta per difendere la sua dignità. Tecnicamente Fantozzi non è uno sfruttato e non fa nulla per difendere la sua dignità. Salvo scatti d’orgoglio quando si sente protetto, sbagliandosi, dal consenso degli altri, come nella mitica indimenticabile sentenza sul sacro e sovietico filmone di Eisenstein: “La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca”. 



Fantozzi non è simpatico. E’ anche una carognetta, se può si vendica o ti frega. Salvo che non ci riesce. Non ti metti mai dalla sua parte. Al massimo ti fa pena. Lo tieni un po’ distante, ti guardi bene dall’identificarti con lui. Anche se pure tu ti devi accontentare della Bianchina, delle vacanze in una pensioncina di Gatteo Mare dove, fidati, prima o poi la nuvoletta arriva e se piove è il tedio assoluto che neanche un Sartre nauseato né un Moravia annoiato saprebbero descrivere. Infine non di rado ha pure una moglie bruttina, che speri si tolga dai piedi quando la partita del cuore in tv ti fa volere, fortissimamente volere birrona gelata, frittatona di cipolla e rutto libero. E’ così Fantozzi, ma sono così anche tutti gli altri colleghi: pronti a nuotare nell’acquario aziendale o a lasciarsi murare vivi, pronti a cedere dignità in cambio neanche di benefit, ma di grigio quieto vivere. 

Triste? Tristissimo. Anche esagerato, se si vuole. O meglio: iperbolico. L’iperbole Fantozzi è stato (è?) il modo possibile di mettere a nudo non il re ma il povero pisquano che è in noi. Jannacci ha raccontato i disgraziati delle periferie esistenziali, con simpatia per la loro dignità e la loro umanità, fuori dagli standard del riconoscimento sociale. Fantozzi racconta senza simpatia, con una crudezza, pur nel grottesco, che non so quanto non tracimi nel cinismo, l’altra faccia della luna, la nostra altra faccia che tra illusioni di status symbol e malcelate frustazioni, nascondiamo come spazzatura sotto il tappeto. Giochiamo anche noi a tennis come i megagalattici, solo al mattino presto e con un nebbione così. Ecco, più che sbiottare il re, Villaggio tira fuori la spazzatura da sotto il tappeto, e ci sputtana un po’ tutti. Ci diventa più difficile far finta di non avere anche noi le nostre miserie, insieme al disperato bisogno che qualcuno ci aiuti a non vivere da fantozzi.