Dopo l’aula semideserta del Parlamento europeo nel momento della discussione del piano di aiuti all’Italia, dopo la minaccia di Vienna di mandare l’esercito al confine (poi ritirata) e dopo la sfida di Francia e Spagna che chiudono i porti ai migranti, a che cosa potrà servire il piano presentato dalla Commissione europea per alleviare la pressione migratoria sul nostro paese? Secondo Gian Carlo Blangiardo, intervistato da ilsussidiario.net, “siamo davanti a una dimostrazione di disunità dove emerge chiaramente che dopo tanti anni non siamo riusciti a fare l’Europa che volevamo”. Per Bangiardo il piano presenta spunti interessanti, il difficile è applicarli ed esoso sarà il costo, che porterà gli italiani a scaricare i propri problemi proprio sui migranti.



Davanti alla crisi che il nostro Paese sta attraversando abbiamo visto reazioni davvero pessime di alcuni importanti paesi europei. Che ne pensa?

La reazione di Francia e Spagna è una perfetta dimostrazione di disunità europea. Emerge in maniera evidente che quando si tratta di fare le cose facili, a parole sono tutti disponibili, quando si tratta di pagare un prezzo consistente ci si comincia a tirare indietro.



Quali sono i fattori che portano a questo comportamento?

Abbiamo a che fare con un tema che è molto sensibile sul piano della politica interna di ogni paese. E’ evidente che ciascun soggetto fa i conti in tasca propria e quindi, anche se non è elegante dirlo, se ne frega dei principi dell’unione ma pensa piuttosto a salvaguardare se stesso in termini di politica interna. Una dimostrazione che a distanza di tanti anni non siamo riusciti a fare quell’Europa che volevamo.

Come giudica le dichiarazioni di Macron che vuole distinguere tra rifugiati politici e rifugiati economici?



Una dichiarazione del genere è un tentativo maldestro di salvare capra e cavoli. Come dire, noi non siamo cattivi perché quelli che scappano dalle guerre li prenderemmo. Questo però vuol dire non avere senso pratico e non credo che il presidente francese ne difetti. Sappiamo tutti che chi arriva dal Bangladesh è un migrante economico, ma è senza documenti e quindi “distinguerlo” è qualcosa da fare a priori. Allora diamoci da fare per risolvere il problema affrontandolo caos per caso.

Tra i punti compresi nel programma c’è il progetto di “reinsediamenti di richiedenti asilo attualmente in Libia, Egitto, Niger, Etiopia e Sudan, insieme all’Unhc”, volontario, in modo da ridurre “il fattore attrazione verso l’Europa”. 

Non credo sia così semplice, stiamo parlando di gente che ha sborsato migliaia di euro faticosamente raccolti per venire qua. Dovremmo dar loro l’indennizzo e anche qualche forma di interesse per convincerli a tornare indietro. Gestire le masse in questo modo non è semplice, non sono pacchetti postali. La logica di fondo di evitare che si muovano dal loro territorio ha un senso, ma nel momento in cui il processo è partito è difficile farlo tornare indietro, e costerebbe cifre altissime.

La cifra promessa dall’Unione europea per questo piano non è molto allettante, e comunque meno di quanto dato alla Turchia.

Infatti il problema è che si tratta di un’operazione economica. Siamo in un secolo nel quale la comunicazione è davvero globale. Un tempo la gente poteva morire di fame e non lo sapeva, oggi sa che ci sono paesi dove si può vivere e si muove. Dovremmo fare in modo che trovassero opportunità in patria, ma è estremamente complicato e difficile.

All’Italia viene chiesto di mettere subito in pratica la legge Minniti e aprire nuovi hotspot. Le sembra fattibile?

Mi sembra irrealistico. Abbiamo imbarcato 500mila migranti negli ultimi tre anni, stiamo andando avanti a fare più o meno altrettanto. Dire che andiamo a creare i campi profughi, o hotspot come si usa dire, per continuare ad ammassare gente che poi non sappiamo come gestire non credo sia una grande idea. Un conto è l’emergenza, un conto è l’ordinaria amministrazione. Da quando è esplosa la grande emergenza, cioè almeno quattro anni, noi dovremmo essere in grado di gestire l’ordinaria amministrazione e invece non è così. Il problema è la redistribuzione all’interno dell’Europa, non l’ammassamento nei campi. Se non si toglie il tappo è inutile continuare a riempire la vasca perché prima o poi trabocca.

Ci viene anche chiesto un maggior controllo delle Ong, coinvolte come sappiamo in alcuni scandali. Lei crede che il loro ruolo sia da incentivare?

Il ruolo delle Ong di per sé e per definizione è importante, perché rappresenta la volontà di aiutare in modo gratuito i poveri ed è una cosa bella, che poi ci siano state delle degenerazioni può essere. Quello che mi sembra ragionevole aspettarsi è che ci sia da parte di queste associazioni una collaborazione con lo stato. La soluzione semplicistica, caricarli e portarli in Italia dicendo “ho fatto una bella azione, ora tocca allo stato” non va bene. Il guaio è che non ci sono grandi possibilità di redistribuzione in Europa. L’Italia dovrebbe essere il regista di questa situazione, prendersi un ruolo importante e capire come debbano agire queste Ong.

C’è poi l’idea di coinvolgere Egitto, Tunisia e Algeria. Le sembra fattibile?

L’idea sembra ragionevole, è chiaro che per avere la loro collaborazione ci vogliono dei soldi, così come la Spagna si è comprata in Marocco una barriera di protezione. Qui si tratta di fare la stessa cosa, ma bisogna essere molto bravi dal punto di vista diplomatico e poi essere pronti a pagare. Questo però vuol dire un ulteriore salasso del contribuente italiano che prima o poi si pone domande, si arrabbia e scarica i suoi problemi sui poveri immigrati.