Il caso di Charlie Gard ha visto scendere nell’ipotetica piazza della discussione innumerevoli posizioni, tra “etichette”, scontri ideologici e per fortuna interessanti spunti di riflessione. Va collocata tra questi ultimi l’intervista rilasciata al collega del Foglio, Mattia Ferraresi, di Giancarlo Cesana, già presidente del Policlinico di Milano, dottore e professore Igiene generale applicata oggi all’Università Bicocca. In una chiacchierata sul caso di Charlie Gard ne fuoriesce una giudizio che riesce ad essere lucidissimo sulle vicende spinose (contrasto legge/vita, eutanasia, posizioni ideologiche) e nello stesso momento possibilista verso più soluzioni dato il caso assolutamente particolare e drammatico del piccolo bimbo inglese affetto da sindrome da deplezione del Dna mitocondriale. «Si pone il problema dell’accanimento terapeutico»: è su questo punto che il dottor Cesana, per anni anche figura di spicco di Comunione e Liberazione, prova a condurre la discussione con Ferraresi.



Il dramma e il paradosso di una vita al limite tra la speranza e lo studio per poterla salvare, l’accettazione che la morte è “un aspetto della vita” e non per forza il più malevolo. Cesana racconta come i genitori di Charlie abbiano con tutta la giusta causa di questo mondo cercato una cura che potesse riaccendere la speranza, ma purtroppo quel trattamento americano resta ancora molto sperimentale e senza alcuna garanzia di massima. «Si pone il problema dell’accanimento terapeutico, che detto in altri termini è il problema del confine fra il coraggio e la temerarietà, fra l’affermazione della vita come bene supremo e l’accettazione della morte come condizione data. Un bel paradosso», spiega il professore nell’intervista a Il Foglio. Non solo, secondo Cesana nella vicenda di Charlie Gard bisogna stare attenti ad «una certa posizione che si presenta come a favore della vita a tutti i costi corre il rischio di diventare scientista».



Si allinea in questo modo a quanto affermato dai vescovi inglesi, che subito dopo la sentenza della corte CEDU hanno scritto «Non dobbiamo mai agire con la deliberata intenzione di terminare una vita umana, inclusa la rimozione della nutrizione e idratazione, così da risultare nella morte. Dobbiamo a volte riconoscere, tuttavia, i limiti di ciò che può essere fatto». Cesena cita poi direttamente un articolo apparso sul nostro quotidiano scritto da Don Roberto Colombo (qui l’intervento integrale) per capire come un equilibrio nel giudizio sia quanto di più richiesto e bisognoso in una vicenda così difficile e complessa come quella di Charlie. Il trattamento, concorda Cesana con Colombo, «è uno straordinario e non clinicamente né eticamente obbligatorio, ma neppure medicalmente e moralmente indecente». Viene avvertito anche quel certo gusto a ribellarsi contro le corti, i tribunali e la legge, che non deve diventare un unico contrasto con la vita, «Le leggi esistono e sono strumenti fondamentali per prendere le decisioni. Il problema è che la legge sia buona, cioè sia conforme alla verità».



Cesana spiega come da un lato il valore della vita è da salvaguardare sempre, ma senza avere il rischio di rimanere intrappolati nel «clima di sospetto generale nei confronti dei magistrati, dei tribunali». Il problema dunque non è quello di appellarsi alle due fazioni, “eutanasia contro Charlie!”, o “è un accanimento terapeutico”, ma piuttosto cercare costantemente e discretamente questa “verità” per poter davvero comprendere come stare di fronte a quel piccolo bimbo che potrebbe essere davvero figlio di ognuno di noi.