Parla ancora, questa volta intervistata da Repubblica, Mariella Enoc presidente dell’ospedale Bambino Gesù di Roma: il caso è quello che tutti conosciamo, quel Charlie Gard bimbo inglese di 10 mesi affetto da una gravissima forma di deplezione da Dna mitocondriale, un qualcosa come 16 casi in tutto il mondo. La vicenda ha sconvolto l’Europa e il mondo interno, con la decisione della corte inglese di voler staccare la spina per evitare ulteriori sofferenze del bimbo. Ma dopo l’appello di Papa Francesco e della Cei, qualcosa si è mosso, con l’ospedale romano di proprietà della Santa Sede che ha cominciato a dialogare prima con la mamma di Charlie e poi direttamente con il GOSH (l’ospedale dove è ricoverato Charlie, ndr) riaffermando l’intenzione di accogliere il bimbo per trattarlo con le cure sperimentali offerte da alcuni ospedali americani (dove la famiglia Gard aveva chiesto di essere trasferita per poter dare una piccola speranza in più a Charlie). Il testa a testa tra l’ospedale cattolico e quello inglese è di quelli intensi, visto che la Enoc ha ribadito ancora ieri come il GOSH abbia proposto di poterlo trasferire solo se il Bambin Gesù mettesse in atto la sentenza della Corte, e la risposta è stata “per nessun motivo al mondo”. Oggi parla ancora, intervistata da Repubblica, e non sono pochi gli spunti interessanti.



«Non saremo noi a staccare la spina al bambino», ribadisce Mariella Enoc sul caso delicatissimo del bimbo inglese Charlie Gard: la decisione della presidente del Bambin Gesù non esita a presentare il caso per quello che è e quello che potrà essere nei prossimi giorni. «Il problema dell’accanimento terapeutico è una zona grigia, come diceva Martini. La Chiesa è chiara: non si deve fare accanimento terapeutico prolungando le sofferenze con farmaci e macchinari. Charlie è solamente attaccato a una macchina che gli permette di respirare. Ma l’alleanza tra medici e genitori è un punto fondamentale per gestire questi casi», spiega la Enoc, sottolineando come la legge sia intervenuta proprio per la distanza e lo scontro tra famiglia e medici (come spiega bene l’intervista di oggi rilasciata al Foglio dal dottor Giancarlo Cesana, qui il nostro speciale). È in atto però uno sforzo molto importante dell’ospedale romano, in costante dialogo con Londra e New York, per mettere in atto il trattamento e il protocollo di cura, qualora venga concesso il trasferimento “clamoroso” del piccolo bimbo inglese, «da una parte ci sono due genitori che chiedono che non venga staccata la spina al figlio, la madre poi è una donna determinata, dall’altra c’è un team di medici che sta lavorando a un farmaco sperimentale. Si è creata una comunità scientifica virtuale affinché quel protocollo sia redatto al più presto nella speranza che il farmaco possa essere somministrato a Charlie, senza illusioni però».



Nell’intervista la presidente ricorda anche come le speranze sono molto flebili, ma esistono, per poter dare un aiuto concreto a Charlie senza accanimento di alcun genere: «questo farmaco non dà illusioni, è sperimentale, gli scienziati credono abbia delle potenzialità, non stiamo parlando di un singolo medico in cerca di pubblicità ma di un team internazionale». È stato giustamente chiesto come mai tutto questo sforzo e questo impegno finora del tutto gratuito di questo ospedale come del Vaticano stesso: e la risposta della Enoc è tanto semplice quanto diretta, «non abbiamo strumentalizzato nulla, è stato difficile gestire la vicenda. Siamo un ospedale pediatrico, abbiamo a che fare ogni giorno con casi molto complicati. Abbiamo solo ritenuto giusto dar seguito all’appello del Santo Padre».

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