Il portavoce del Great Ormond Street Hospital di Londra ha dichiarato che i medici curanti di Charlie Gard, il bambino affetto da una grave forma di sindrome da deplezione del Dna mitocondriale dovuta al difetto del gene RRM2B che ha provocato in lui una encefalopatia metabolica ed altre patologie d’organo, hanno ricevuto comunicazione dai colleghi dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di “nuove evidenze relative ad un potenziale trattamento per la sua condizione” clinica e hanno deciso di riaprire il contenzioso con i suoi genitori sulla cura di Charlie di fronte alla High Court. L’udienza è stata fissata dal giudice per lunedì 10 luglio alle ore 14. Almeno per ora è scongiurato il pericolo che venga posto termine alla vita del piccolo paziente, come le sentenze avevano sinora autorizzato, e per lui, la mamma ed il papà — e tutti coloro che stanno seguendo con apprensione l’evolversi della drammatica vicenda — si apre una speranza di vedere cambiare le attuali condizioni assistenziali del bambino e le decisioni che i sanitari avevano preso a suo riguardo.
La terapia sperimentale proposta nella lettera giunta dal Bambino Gesù — firmata da sei medici e ricercatori europei ed uno statunitense, tutti di esperienza clinica e scientifica riconosciuta internazionalmente — si basa sul trattamento con desossinucleosidi, i “mattoni” per la sintesi del Dna di cui sono carenti i mitocondri di Charlie, per i quali vi è evidenza che le proteine della barriera emato-encefalica siano in grado di farli passare dal sangue al cervello, l’organo più gravemente colpito nel piccolo paziente, dove i neuroni e le cellule gliali abbisognano di questi metaboliti per consentire la funzionalità dei loro mitocondri. Servirebbero ulteriori studi in vivo sul modello animale per acquisire ulteriori elementi probatori della potenziale efficacia nell’uomo di questo protocollo di terapia metabolica, ma il tempo si fa breve e se si vuole percorrere quest’ultima possibilità di trattamento della patologia di Charlie occorre fare presto (molto tempo è già stato perduto in estenuanti trattative tra i genitori ed i medici e in futili diatribe giuridiche).
Per questa ragione straordinaria, legata alla singolarità della vicenda umana in gioco e alle mosse inappropriate dei mesi precedenti, potrebbero essere vinte anche le pur serie obiezioni mediche ed etiche verso questa traslazione inconsueta dalla sperimentazione pre-clinica a quella clinica. A favore di questa eccezione alla regola non vi è solo l’uso chiamato “compassionevole” di principi attivi ancora in fase di sperimentazione (come già avviene per alcuni farmaci), ma anche la tossicità estremamente bassa dei desossinucleosidi proposti per la terapia, trattandosi di composti naturalmente presenti nelle cellule del corpo di un bambino e di un adulto.
Non possiamo sapere a priori né quale sarà la decisione presa lunedì dinnanzi alla High Court, né l’esito della eventuale terapia che i medici del Great Ormond Street Hospital potrebbe iniziare seguendo il protocollo loro proposto dai colleghi europei e statunitensi, ma una cosa è certa: due grandi “miracoli” sono già stati ottenuti da questo piccolo bambino, il cui Angelo custode veglia su di lui giorno e notte e intercede presso Dio per il suo bene e per quello dei suoi genitori, dei medici e di tutti noi.
Il primo — un “miracolo” morale — è quello di aver risvegliato in moltissime persone, credenti e non credenti, in ogni parte del mondo, la passione per accogliere, difendere e promuove la vita umana dal concepimento fino alla morte naturale, senza distinzioni ideologiche basate sulla “qualità” o le “aspettative” della vita di un bambino malato, qualunque sia la gravità della sua patologia. Un risveglio da un “sonno della ragione”, da una amnesia della realtà e da un “oscuramento della moralità” che segnano pesantemente la cultura e la società dei nostri giorni.
Il secondo — un “miracolo” professionale — consiste nell’aver ridestato la categoria della possibilità, categoria suprema della ragione, come strumento incensurabile dell’intelligenza scientifica e medica della realtà della malattia, della terapia e della cura del paziente. Senza apertura incondizionata alla possibilità che un elemento sconosciuto, imprevedibile e imprevisto della realtà fisiopatologica possa spalancarsi dinnanzi agli occhi dello scienziato e del medico e mostrarsi come la chiave di apertura verso un nuovo approccio clinico meritevole di essere preso in considerazione, non vi è autentica ricerca scientifica né feconda innovazione nel campo della sanità.
L’ostinata cecità di fronte all’inesorabile evidenza dei fatti — più tenaci di ogni idea che di essi possiamo costruirci — è foriera di gravi misfatti. Il medico che non è disposto a far fuori le proprie diagnosi e le proprie prognosi, ritornando sui suoi passi dinnanzi ad una imprevista evidenza scientifica o clinica, prima o poi è destinato a far fuori i suoi pazienti.