Pasquale, Anna, Francesca, Salvatore, Giacomo, Eddy, Marco, Pina giacciono sotto una coltre di cemento da questa mattina alle 6.20 quando è crollata una palazzina di Torre Annunziata nella popolosa provincia di Napoli.
Per la verità qualche corpo è stato estratto dalle macerie, ma il comune destino di tre comuni famiglie italiane non cambia. Che dormissero da un pezzo, si fossero appena coricate, si stessero per svegliare, otto persone (tra cui una ragazza e un bambino, fratello e sorella) hanno abbandonato questa vita e non certo per una loro decisione.
Il destino, si dice. Se è accaduto, da qualche parte doveva essere scritto. Come nei terremoti che scuotono la terra e mietono vittime innocenti, anche in questo caso ci s’interroga sul perché e sul per come. E una chiara risposta non c’è.
Forse i lavori di ristrutturazione al secondo piano. Forse le vibrazioni della vicina linea ferroviaria che da cinquant’anni scuotono le fondamenta del palazzo. Forse la cattiva manutenzione. Più probabilmente tutte e tre queste circostanze più qualcos’altro che nessuno potrà mai conoscere. Nemmeno a seguito dell’immancabile inchiesta aperta dalla magistratura che potrà definire i caratteri fisici della sciagura ma non saprà spiegare perché otto nomi, e proprio quelli, sono stati estratti a sorte in una mattina di luglio mentre la spiaggia vicina si preparava ad accogliere frotte di bagnanti perfino felici.
Sul luogo sono confluiti vigili del fuoco, carabinieri, polizia municipale, capitaneria di porto e protezione civile in una nobile gara a scavare con le mani e a tendere le orecchie, alla quale non si sono sottratti nemmeno due cani veterani nel recupero dei dispersi come Tara e Scilla già impiegati ad Amatrice.
Emergono come sempre in queste occasioni oggetti ai quali non avremmo prestato attenzione se non provenissero dall’inferno: due materassi e un album di vecchie fotografie che ricordano un matrimonio.
È triste dirlo ma siamo più bravi a seppellire i morti che ad accudire i vivi.