Accusato di frasi omofobe, lo psicologo milanese Giancarlo Ricci è finito sotto processo: a decidere le sue sorti il Consiglio dell’Ordine degli psicologi della Lombardia. «Mamma e papà hanno una funzione essenziale e costitutiva nel processo di crescita», questa la dichiarazione che ha fatto insorgere i colleghi: Ricci l’ha rilasciata durante una puntata di “Dalla vostra parte”, trasmissione di Rete4. Lo psicoterapeuta ha ricevuto otto segnalazioni all’Ordine da parte di alcuni colleghi. Il colpo di scena è arrivato però nei giorni scorsi, quando era attesa la sentenza ed invece il processo è stato rinviato a data da destinarsi. La richiesta di ricusazione presentata dai legali di Giancarlo Ricci nei confronti di due componenti del Consiglio ha bloccato il processo. I due membri in questione avevano già annunciato sulla loro pagina Facebook come si sarebbe conclusa la vicenda. Pare infatti che sui loro profili siano comparse affermazioni del tipo: «Così gliela faremo pagare». Paladini della cultura gender, avrebbero espressamente ritenuto colpevole lo psicoterapeuta di non aprirsi all’omogenitorialità e di professare ancora teorie sulla genitorialità tradizionale.



Ricci rischiava di essere sanzionato, perché nell’atto di accusa si parlava di indegnità ai sensi dell’articolo 5 del regolamento dell’Ordine, che impone agli iscritti il dovere dell’aggiornamento professionale. La maggior parte delle ricerche sostengono che non ci sia nessuna differenza tra omogenitorialità e genitorialità tradizionale, quindi per l’accusa doveva adeguarsi. Ma di fronte ai pregiudizi, espressi peraltro sui social, il collegio difensivo di Ricci ha chiesto la ricusazione. Il Consiglio si è paralizzato e dopo un paio d’ore di confronto ha rinviato tutto a data da destinarsi. «Speriamo che ciò giovi a garantire che Ricci sia giudicato da un collegio terzo e imparziale come previsto dalla nostra Costituzione», il commento di Simone Pillon, uno degli avvocati di Ricci.



Come riportato dall’Avvenire, il legale ha ribadito poi «la totale liceità delle affermazioni che» il suo assistito «ha reso pubblicamente», perché si è limitato «ad esporre il suo pensiero sul tema della genitorialità e su altri aspetti di pubblico dibattito che non possono certo formare oggetto di censura disciplinare». Ricci ha rimarcato di non aver mai sostenuto che essere gay costituisca una malattia, ma nel 2009 e nel 2012 è finito sotto procedimento con l’accusa di sostenere la “terapia riparativa”. Entrambi furono archiviati.

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