ATTENTATO A PARIGI. Sono le 15 di una normale giornata di agosto. Da una via laterale al piazzale della Cattedrale di Chartes, spuntano una decina di soldati in tuta mimetica e armi tra le mani. Camminano decisi in quello spazio pubblico; a noi stranieri la scena fa un po’ impressione, ma attorno non sembra suscitare la preoccupazione di nessuno. È una scena che si ripete frequentemente in Francia, da quando, nel gennaio 2015, dopo l’attentato a Charlie Hebdo, l’allora presidente François Hollande ha varato l’operazione “Sentinelle”: circa 10mila soldati impiegati in forma di controllo del territorio contro il terrorismo. 



Dei 10mila oltre la metà sono impiegati nella regione dell’Ile de France e della capitale. Ma da dissuasori i militari dell’operazione Sentinelle si sono trasformati in obiettivi di azioni individuali, come quella accaduta ieri mattina a Levallois-Perret: un gruppo di soldati sono stati deliberatamente investiti da una macchina. Sei i feriti, di cui due in gravi condizioni. 



Pochi dubbi che si sia trattato di un atto deliberato, visto che l’auto, una Bmw, procedeva piano ed ha accelerato all’improvviso quando è arrivata nelle vicinanze del gruppetto di soldati che stavano uscendo dalla caserma. Qualche ora dopo la Bmw è stata intercettata; dell’autista, rimasto ferito per la breve sparatoria, le autorità hanno comunicato solo la data di nascita: 1980. Per ora la sezione antiterrorismo della Procura di Parigi ha aperto un’indagine per “tentato omicidio di persone investite di autorità pubblica nell’ambito di un’azione terroristica”. Va sottolineato il fatto che Levallois-Perret è sede della divisione nazionale antiterrorismo della Francia.



Intanto però la Francia si interroga sull’efficacia di questa misura. Come ha scritto Le Monde, lo stato maggiore dell’esercito ha ottenuto a partire dal 2016 di rendere segrete le statistiche su violenze minori subite dai soldati dell’operazione Sentinelle: si parla di una decina di “incidenti” al mese. Nel 2017 gli attacchi importanti e dichiarati sono stati due: quello al Carrousel du Louvre a febbraio (l’attentatore è stato gravemente ferito) e quello di marzo a Orly, quando l’attentatore che aveva preso in ostaggio un militare è stato ucciso. 

Il nuovo governo del premier Edouard Philippe si era dato come obiettivo il primo novembre per far cessare lo stato d’emergenza che dura da due anni. Dopo l’attacco a Levallois-Perret le intenzioni non sono cambiate. “Dobbiamo uscirne, poiché lo stato di emergenza è uno stato transitorio”, ha ribadito ieri. L’impressione è che si vada verso un cambio di strategia: meno soldati per le strade, ma maggiori strumenti alla forze di sicurezza per intercettare le mosse di eventuali cellule terroristiche. Se Hollande aveva cercato di fare la voce grossa per dimostrare che la Francia non si lasciava certo sopraffare, ora con Macron si passa a una strategia meno enfatica e più scaltra. Sottraendo ad attentatori solitari e paranoici obiettivi a volte sin troppo visibili e facili.