FREETOWN (Sierra Leone) — Dopo una guerra crudele di undici anni, che ha messo il paese in ginocchio, nessuno immaginava che nel piccolo paese dell’Africa occidentale sarebbe accaduta un’altra tragedia. Perché proprio questo è stato l’Ebola, una guerra: un flagello venuto dalla Guinea e dalla Liberia che ha chiuso la Sierra Leone al mondo: tranne medici o personale delle Ong, nessuno poteva entrare nel paese. Ma con tanto lavoro e tanta speranza, e al prezzo di 4mila morti, siamo riusciti a combattere e a sconfiggere anche l’epidemia.
Invece, oggi la Sierra Leone piange ancora. Domenica 13 agosto era una bella giornata dal cielo sereno. Mi ero appena coricato, quando ha cominciato a piovere. Sembrava una pioggia normale, tipica di agosto e settembre, i mesi in cui normalmente piove di più, durante la stagione delle piogge. Ma dopo quattro ore di pioggia intensa, ho cominciato ad essere preoccupato. Alla fine mi sono addormentato, mentre continuava a venire giù con intensità.
Verso le 4 del mattino si è cominciato a sentir tremare la terra. Alcune famiglie che erano già sveglie si sono precipitate fuori dalle loro case, ma lo smottamento era così veloce che una parte della montagna è venuta giù, trascinando via insieme a fango, rocce e alberi trecento case e centinaia di baracche.
Il fango ha trascinato case e persone fino all’oceano. Ma lunedì mattina non ci si poteva muovere perché pioveva ancora tanto, e la gente era sconvolta di fronte a una tragedia di tale potata. Il governo ha attivato i militari, la polizia, le Ong e tutti coloro che potevano dare una mano. Il Family Home Movement — l’organizzazione fondata dal saveriano padre Giuseppe Berton — e noi di Avsi siamo subito andati in due dei luoghi più colpiti della città. Non si poteva nemmeno stare in piedi, era una cosa che nessuno poteva immaginare. In quella zona e in quelle adiacenti la montagna ha seppellito tutte le case e i loro occupanti, mentre il fango ha continuato la sua corsa verso il mare.
Verso le due del pomeriggio è arrivata la prima ruspa e ha cominciato a estrarre i cadaveri. Fino a quel momento la gente aveva usato le padelle da cucina. Una trentina di ambulanze portavano via i cadaveri nelle zone di raccolta. Fino ad ora si contano più di 500 morti, mentre di circa 700 persone non si è saputo più nulla. E’ difficile stimare quanti possano essere rimasti sotto il fango. Ma si è verificato anche un miracolo. Un bambino di 4 mesi è stato estratto vivo dalla melma, mentre tutta la sua famiglia lo ha lasciato. Altre quattro persone sono state salvate perché avevano il telefonino.
Ora le ruspe stanno scavando, ma insieme al fango ci sono solo cadaveri. 3mila sfollati hanno bisogno di tutto, viveri, assistenza e un posto per dormire. Tutta la giornata di oggi (ieri, ndr) l’abbiamo passata con loro, cercando di venire incontro alle loro necessità e di avere da loro tutte le informazioni che possono servire a qualcosa. Il governo fa quel che può per affrontare questa immane tragedia, a cominciare dalla sepoltura dei morti, perché il colera è in agguato. La Sierra Leone purtroppo continua a piangere.