Si chiama sindrome di Munchausen, ed è spesso accomunata alla mania dei viaggiatori abituali, coloro che non possono fare a meno di tornare in aeroporto. La differenza, però, è che in questo caso chi ne è affetto non vuole uscire dall’ospedale, cerca di convincere i medici e i propri familiari che la propria sofferenza merita cure e attenzioni. E no, non siamo di fronte “soltanto” a dei malati immaginari: il caso è ben più serio. Basta prendere la storia di Hope, una donna americana che per anni ha fatto credere alla propria famiglia di aver sconfitto il cancro. Ha interpretato una parte per migliaia e migliaia di giorni, è arrivata a farsi un tatuaggio per celebrare la prima “fittizia” vittoria sulla malattia, e il meno è stato organizzare delle festicciole con amici e parenti per festeggiare lo scampato pericolo. Si è spinta persino ad organizzare il proprio funerale con la mamma in lacrime, disperata che la sua giovane figlia, sotto i 30 anni, fosse stata colpita per la terza volta da un tumore. Alla fine, come spesso accade in questi casi, la signora Susan, mamma di Hope, ha scoperto per caso che la figlia avesse inventato tutto. Il medico che l’aveva in cura non trovava nessun riferimento ai suoi precedenti tumori: Hope si era spinta troppo oltre. Nessuna tac, esame, certificato, attestava che la giovane donna fosse affetta da cancro. Quando Susan l’ha messa di fronte alla verità, Hope ha ammesso di essersi inventata tutto. 



LA FINTA MALATTIA DELLA FIGLIA

L’assurdità della sindrome di Munchausen, nel caso di Hope, è che non ha riguardato soltanto se stessa. Mamma Susan, una volta capito che la figlia aveva raccontato a tutti un sacco di bugie, si è chiesta se per caso non avesse fatto lo stesso con la nipote, una bambina che da anni era in cura per la fibrosi cistica. La piccola, allora, è stata sottoposta dai pediatri ad un test che misura la quantità di cloruro nel sudore, che è anormale nelle persone con la malattia. Hope ha subito cercato di interferire manomettendo la benda utilizzata per il test, ma è stata bloccata dal personale medico. I risultati erano chiari: la bambina era sanissima. Pur di continuare ad interpretare la parte della mamma disperata, Hope nel corso degli anni aveva infettato la figlia con alcuni batteri nocivi ottenuti dal laboratorio in cui lavorava, rimosso sangue dalla figlia per renderla anemica e mandata in shock anafilaticco per un trattamento anti-anemico di cui la bambina non aveva bisogno. Sono ancora tante, dice Susan, le domande che vorrebbero fare ad Hope, che resterà in prigione fino al 2019. Solo lei sa la verità su tanti episodi che rivisti oggi non convincono questa famiglia. Una volta uscita dal carcere spetterà ad Hope fugarli tutti, provare a riallacciare i contatti con i suoi cari e tentare di riabbracciare sua figlia.

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