Ieri mattina i pochi romani ancora presenti nella capitale hanno avuto un pessimo risveglio. Il quartiere Parioli e il quartiere Prati, due quartieri simbolo della Roma “bene”, della signorilità fatta di ville e giardini, hanno trovato nello loro viscere i resti truculenti di un gesto truce e disumano. La sera prima, intorno alle 20, una donna rom aveva trovato dentro un cassonetto due gambe chiuse con del nastro adesivo nero: quello che tutti noi usiamo abitualmente per sigillare i pacchi. Secondo gli inquirenti le gambe erano state tagliate con un’ascia o con una sega. Le indagini, che nel frattempo erano andate avanti, lo hanno poi confermato. Perché nel frattempo un uomo di 62 anni, Maurizio Diotallevi, il fratello della vittima, ha confessato e ha indicato agli investigatori un secondo cassonetto dove si trovava l’altra parte della sua vergogna.
Era molto vicino alla sua abitazione, in via Guido Reni (cioè in Prati, mentre le gambe si trovavano a Parioli). Lì è stato rinvenuto il resto del corpo della vittima: uccisa a causa di un litigio per soldi in un contesto di grande tensione familiare che però, come avviene nei quartieri “bene”, era del tutto invisibile ai vicini che, quando hanno visto la polizia, hanno pensato “stessero girando un film”. Il fatto certo, in ogni caso, è che la povera vittima, Nicoletta, è poi stata fatta letteralmente a pezzi dal fratello Maurizio. Un terribile rovesciamento dell’Eucarestia. Gesù corpo spezzato per donare vita, questa povera donna uccisa e smembrata dal fratello Maurizio per avere quattro soldi, freddi come quella morte che lui doveva avere nel cuore.
A caricare ancor più di forte carica simbolica questo evento tremendo c’è la circostanza che chi ha rinvenuto le gambe della povera vittima non è stata una donna qualsiasi ma una nomade. Se ne vedono tanti di rom così a Roma: fanno parte delle schiere di poveri che affondano la loro testa e le loro mani nei resti puzzolenti della nostra civiltà: cercano oggetti che noi gettiamo perché li riteniamo inservibili ma che invece loro scoprono essere ancora utili. E in questo caso la povera rom, che è stata ricoverata in ospedale in stato di shock, capisce subito che gli arti amputati di un cadavere sono qualcosa che non si può buttare via, come si butta via un paio di scarpe.
Se non fosse stato per lei, per la rom che ogni giorno cercava tesori nei cassonetti, il grande camion della nettezza urbana avrebbe forse nascosto a tutti per sempre questa atrocità. La notte tra il 14 e il 15 agosto Maurizio aveva infatti deposto il cadavere in un cassonetto qualsiasi, di quelli per l’indifferenziata, di quelli che i camion se li vuotano tutti da soli con gran frastuono dentro le fauci e poi tritano tutto con le loro lame: plastica, legno, cose andate a male che con questo caldo emanano fetori tremendi: in questo caso, la puzza tremenda della carne umana tagliata a pezzi. Ci voleva la disperazione di una povera nomade per mettere in luce che, anche nei quartieri bene della Capitale, stiamo diventando sempre meno uomini e sempre più vigliacchi.