Se non vi è mai capitato di sentir parlare della Madonna di Montevergine, di sicuro, specie se siete del sud Italia, avrete sentito parlare della “Juta dei femminielli” e del culto di “Mamma Schiavona”. Ci troviamo nell’avellinese, sul Monte Partenio, dove sorge il luogo di culto particolarmente caro a diversi transgender che vedono nella “Mamma Schiavona” la chiave cristiana dei riti dedicati in tempi pagani alla Dea Cibele. Con un lungo articolo apparso oggi su Repubblica a firma Marino Niola, in maniera colorita e approfondita viene presentata la figura della Madonna di Montevergine che durante l’estate vede il moltiplicarsi dei pellegrinaggi lungo i 1400 metri di ascesa al Monte dove appare il Santuario di Mercogliano con il quadro raffigurante la vergine Maria su un trono con in braccio il bambin Gesù. La leggenda però parte da molto lontano e si intreccia con l’iconografia cristiana e l’Eneide di Virgilio: «la Grande Madre degli dèi, evocata con incantesimi ed erbe magiche, rivelò al poeta che, di lì a poco, una vergine avrebbe dato miracolosamente alla luce un dio bambino che avrebbe salvato il mondo. Di questa profezia l’autore dell’Eneide avrebbe lasciato una traccia, tra il metaforico e l’esoterico, nella quarta Ecloga», spiega Niola su Repubblica, riassumendo l’origine di questo particolare culto visto dalla Chiesa Cattolica come un incrocio tra leggende, episodi mai esistiti e verità storiche. Oggi, al posto dell’antico tempio pagano, c’è il santuario dedicato alla Madonna di Montevergine. Un’icona nera che i devoti chiamano la Mamma Schiavona a causa delle sue fattezze orientali (Schiavona significa infatti “straniera”).
TRA LEGGENDA E “FAKE NEWS”
I riti che accompagnano il culto di Mamma Schiavona però hanno fatto breccia nel tempo anche tra i transessuali, con la celebre Juta dei femminielli che tutt’oggi avviene il 2 febbraio, quando si celebra la Madonna sul Monte Partenio: la motivazione è da ricercarsi in una narrazione orale, tramandata nei secoli, secondo la quale nel 1256 la Madonna di Montevergine avrebbe miracolosamente liberato due amanti omosessuali, legati a un albero tra lastre di ghiaccio. Il giorno dell’intervento prodigioso sarebbe stato appunto un 2 febbraio e per quel motivo ogni anno si ripetono i pellegrinaggi di gruppi di transgender verso il Monte Partenio. Questa tradizione orale leggendaria si mischia poi al culto a metà tra il rito pagano e qualche “commistione” della storia cristiana: canti, balli, suoni con il tamburo e inni sfrenati, le danze al limite dell’orgiastico degli adepti legati a questo culto nel corso della storia si donavano a Cibele anima e corpo. Al punto da evirarsi per sacrificare la loro identità maschile e ricominciare una nuova vita: ovviamente quella pratica, trasfigurata nella realtà di oggi, richiama un simbolo assai potente per tutti i transgender d’Italia. Come giustamente riporta il Corriere della Sera in uno speciale di qualche anno fa per la leggenda di Mamma Schiavona, le processioni a base di canti, balli e suoni di tamburo sono sempre stati interpretati come i “gay pride” dell’antichità.
«Non c’è uomo che non sia femmina e non c’è femmina che non sia uomo», la frase viene ripetuta come un mantra dai tanti pellegrini LGBT che ogni anno affollano il Santuario, riportando leggende e riti antichi non sempre di “storica” evidenza. Ad esempio qualche “fake news” ante-litteram circola ancora, come ha spiegato bene il Concilio Vaticano II: negli anni sessanta, quando su ordine delle autorità ecclesiastiche un team di storici e critici analizzarono il quadro della Madonna di Montevergine, ben presto tutte le leggende sulla fondazione di quel quadro risultarono totalmente infondate con una datazione che non coincideva con quella riportata dagli stessi adepti. Ma il culto è rimasto e in una sorta di ripetiziona arcaica arriva fino al XXI secolo. «Da secoli le persone diverse si sono riconosciute in questa Madonna diversa», ricordava Vladimir Luxuria, la prima parlamentare transgender, attivista del movimento LGBT e, pare, assidua della Juta dei femminielli che fa ogni anno. La leggenda che si mischia alla realtà in uno dei culti più seguiti in sud Italia: attorno al bel quadro inserito nel Santuario sono stati raccontati e a volte inventati tanti altri fatti che con il sacro hanno ben poco a che spartire e sui quali la stessa critica storica e artistica è profondamente divisa. Con l’avvento del cristianesimo, il santuario fu consacrato a Maria e da allora, tra il reale e il leggendario, una madonna “nera”, stupenda, ha esteso il suo manto protettivo sugli ultimi, sui deboli, sui poveri, sugli emarginati. Come spiegano i più affezionati a questo rito arcaico e antichissimo, Mamma Schiavona è la madre dal cuore grandissimo che perdona tutto ai suoi devoti che scalano la montagna fino a raggiungere il suo santuario.