Bruttissima storia da raccontare. Un’anziana di 78 anni e il figlio di 40, entrambi con disturbi mentali, chiusi a doppia mandata in un garage-ripostiglio reso carcere, niente finestre e niente servizi. Carcerieri-schiavisti una coppia di conviventi, lui 52 e lei 38 anni. Lui è figlio dell’anziana e fratellastro dell’altro recluso. Movente: appropriarsi della povera pensione della povera donna. Servitus tua vita mea; tu schiava e noi due un po’ più liberi di vivere la nostra vita.
Ma dove siamo? Non nel Bronx leggendario, non nella spaventosa Caracas. Siamo a Cozzo, Italia, con precisione in Lomellina, provincia di Pavia, a metà della strada fra Mortara e Casale, che spartisce di qua e di là le sue quattro case dove vivono 372 anime, non una di più. Case vecchiotte a due piani, tipiche dei paesi rurali di Padania, allineate a schiera sullo stradone principale, simili a casolari con l’aia in mezzo al cortile e l’ortaglia le altre. Un assetto che per secoli ha favorito un vicinato solidale.
Bruttissimi dettagli da raccontare. Quelli visti dai carabinieri che hanno scoperto il “lager” e fatto irruzione. Le due vittime avevano a disposizione due lettini di plastica bianca, tipo prendisole da bordo piscina, rigide e senza materasso. Qualche coperta, adesso inutile in quella sauna infernale. Contenitori per feci e urine; in alternativa possibile farla nel prato, a condizione poi di rimuoverla. Acqua, solo fredda, dalla canna di gomma del giardino. Vestiti: uno solo, quello indossato, bisunto e maleodorante. Infine, telecamera di sorveglianza, mica che lì dentro combinino qualche stupidata.
Se uno tenesse in queste condizioni una bestia, non dico un nobile canide o un pacioso gattuccio, ma che so un cinghiale o uno scimpanzé… una soffiata all’Asl e gli danno l’ergastolo; una soffiata agli animalisti e va dritto alla ghigliottina. Ora va detto che la losca coppia ha tenuto l’anziana e il disabile in gabbia per almeno due anni, cioè da quando abitano a Cozzo.
I commenti che vengono subito sono due. Uno: cacciarli in galera e gettare via la chiave. Due: ma le comari e i comari del paesino, dove si sa sempre tutto, non potevano non sapere, maledetti omertosi. Così documentano i social, dove il commento due prevale nettamente sull’uno.
Forse si può fare un’altra riflessione, o perlomeno porsi qualche domanda.
Per esempio: omertosi o semplicemente ignari che siano i cozzolesi, è evidente che il tessuto solidale delle aie e dei cortili non c’è più, anche dove i cortili e le aie ci sono ancora. Cozzo come il resto del mondo. Da dove rinasce un interesse per la sorte dell’altro? Non dall’aia.
E ancora: va bene la galera, non va bene gettar via la chiave. Ma senza cancellare questa domanda: come si fa a diventare così cattivi e senza cuore? Perché un conto è un’esplosione d’ira e di violenza, magari a lungo covata, ma che dura quel che dura e un attimo dopo, per esempio in caso di omicidio, non c’è modo di tornare indietro; un altro conto è per due anni, 700 giorni, uno dopo l’altro, inesorabilmente, a vedere, anzi osservare, controllare, anche con la videocamera, la propria madre e il fratellastro sopravvivere in condizioni subumane. E’ pressoché impossibile darsi ragione del male. Certo è che il male, se non contrastato fino alla domanda di perdono, si incista. Prende posto nella coscienza, alterandola e riducendola, mangiando sempre più spazio alla parte sana, come un bubbone o una cisti appunto nelle carni, e indurendo il cuore.
Ora la coppia dal cuore incistito è nel gabbio. Le accuse sono di maltrattamenti in famiglia, sequestro di persona, circonvenzione di incapace e riduzione in schiavitù.
Sia quel che sia. Ma buttare la chiave no, non serve. Come ognuno di noi, anche gli amanti schiavisti dal cuore di pietra potrebbero accorgersi di desiderare, e domandare, finalmente, un cuore di carne. Credano, val più di una miseranda pensione di invalidità.