Il mondo delle Ong si è diviso di fronte al Codice di Condotta per le operazioni di ricerca e soccorso in mare. Medici senza frontiere, ad esempio, non ha firmato il documento nell’ultima riunione convocata dal Viminale. Una decisione non priva di conseguenze, come ha assicurato il ministero dell’Interno. Ma l’organizzazione ha spiegato le ragioni della sua decisione sul codice, che peraltro ha suscitato dubbi e timori sin da quando è stato annunciato. In un comunicato MSF ha spiegato che avrebbe accettato di firmarlo, se ci fossero stati quei sostanziali cambiamenti che avevano richiesto. Pur riconoscendo lo sforzo per rispondere alle osservazioni presentate, «permangono una serie di preoccupazioni e richieste lasciate inevase». L’impianto generale sarebbe infatti rimasto immutato nella sostanza. Per Medici senza frontiere il Codice di Condotta «non riafferma con sufficiente chiarezza la priorità del salvataggio in mare, non riconosce il ruolo di supplenza svolto dalle organizzazioni umanitarie e soprattutto non si propone di introdurre misure specifiche orientate in primo luogo a rafforzare il sistema di ricerca e soccorso». Inoltre, secondo MSF alcune parti sono state formulate poco chiaramente, quindi all’atto pratico potrebbe essere ridotta l’efficienza del sistema. 



MEDICI SENZA FRONTIERE NON FIRMA IL CODICE DI CONDOTTA

LE PRINCIPALI PREOCCUPAZIONI DI MSF

Ci sono degli aspetti in particolare che preoccupano Medici senza frontiere, che nel suo comunicato ufficiale ha ribadito il rispetto delle leggi nazionali e internazionali durante le operazioni di ricerca e soccorso. In primo luogo, il Codice di Condotta «non riafferma con sufficiente chiarezza la priorità del salvataggio di vite in mare», né secondo MSF riconosce il ruolo di supplenza che le organizzazioni umanitarie svolgono e propone di introdurre misure specifiche per rafforzare il sistema di ricerca e soccorso. Il secondo punto sollevato da Medici senza frontiere riguarda l’efficienza e la capacità di salvare vite in mare, che sarebbero ridotte a causa delle limitazioni al trasbordo su altre navi. «In questo modo si crea un sistema di andata e ritorno di tutte le navi di soccorso verso i luoghi di sbarco, che avrà come conseguenza una minore presenza di quelle navi nella zona di ricerca e soccorso». Medici senza frontiere teme inoltre che così siano a rischio i principi umanitari: «rappresentano la sola garanzia di poter accedere alle popolazioni in stato di maggiore necessità ovunque nel mondo, assicurando allo stesso tempo ai nostri operatori un sufficiente livello di sicurezza». C’è poi preoccupazione per le strategie messe in atto dalle autorità italiane ed europee, soprattutto per quanto riguarda la Libia. «Non è un posto sicuro dove riportare le persone in fuga», scrive MSF nel comunicato, spiegando che nei centri di detenzione i migranti vengono trattenuti «in condizioni disumane e/o sottoposti a estorsioni o torture, comprese violenze sessuali». La loro attività non rappresenta la soluzione, ma uno strumento di salvezza.



MSF ha quindi concluso il suo comunicato spiegando che continuerà le attività di ricerca e soccorso in mare, pur non firmando il Codice di Condotta, nel rispetto delle leggi nazionali e internazionali, cooperando con le autorità italiane. Inoltre, rispetteranno le disposizioni del Codice su cui concordano, come «quelle relative alle capacità tecniche, alla trasparenza finanziaria, all’uso dei trasponder e dei segnali luminosi». E non si opporranno a far salire a bordo funzionari di polizia giudiziaria. Clicca qui per leggere la lettera inviata al Ministro dell’Interno.

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