Ogni volta che un nuovo attentato terroristico scuote la nostra Europa e non solo, la domanda che sorge è sempre la medesima: cosa spinge esattamente a portare a termine l’incomprensibile trasformazione da “ragazzo normale” a “terrorista”? Da dove nasce la radicalizzazione e perché? Domande, queste, alle quali quasi certamente sa rispondere Frate Ignazio De Francesco, monaco appartenente all’ordine della Piccola Famiglia dell’Annunziata e grande esperto di Islam. Il religioso da anni opera nelle carceri e nello specifico nel penitenziario di Bologna Dozza, dove ha imparato a conoscere soprattutto i detenuti musulmani. Una esperienza che si è consolidata nel tempo al punto da aver spinto il regista Marco Santarelli a raccontare la storia del Frate in un documentario dal titolo “Dustur”, incentrato proprio sul fenomeno della radicalizzazione nelle carceri.
LA RADICALIZZAZIONE IN UNA NOTTE
Per spiegare cosa avviene in un giovane musulmano che, a causa delle difficoltà della vita finisce in carcere, Frate Ignazio ha voluto riportare a Repubblica la storia di un giovane tunisino. Giunto in Italia quando era appena un bambino, riuscì ad ottenere la cittadinanza. Alle spalle si lasciava un passato difficile con la sua famiglia, tanto da averlo portato alla droga, dal consumo allo spaccio. “Quando finì in carcere per lui fu uno shock: reagì con una conversione radicale”, ha raccontato il frate. E così, bastò una notte a far emergere in lui la sua vera identità per troppo tempo rimasta nell’ombra, “quel suo essere nato musulmano in un Paese arabo divenne prevalente”. Quel giovane però, era ancora a secco di conoscenza: non sapeva nulla del Corano, non parlava più l’arabo e così scelse la via più semplice, quello che oggi viene definito il Califfato. “Si radicalizzò nel corso di una notte”, ha aggiunto.
“OCCORRE PARLARE DI CORANO E SHARIA”
Di fronte a casi simili Frate Ignazio ha ammesso di non avere affatto una risposta univoca. “Serve senza dubbio una componente di intelligence per tenere d’occhio i radicalizzati: ma non basta”, ha commentato il religioso. Sono ragazzi furbi, sanno cosa viene loro richiesto ma cercano di confondere. Piuttosto che dedicarsi in cella alla lettura del Corano, guardano il Grande Fratello e bestemmiano nei corridoi. Per farli venire allo scoperto, dunque, occorre sfidarli sul loro terreno, ovvero parlare di sharia, di fatwa. E’ quello che Frate Ignazio ha fatto con il giovane tunisino e con molti altri detenuti musulmani, affiancato da un imam venuto appositamente su suo invito. “Davanti alle sue risposte su quello che è lecito o meno nell’Islam i ragazzi restavano a bocca aperta”, ha spiegato. Incredulità e sconcerto di fronte a ciò che realmente la loro religione chiedeva. Qual è, dunque, secondo Frate Ignazio, la chiave per fermare il radicalismo? “Occorre entrare nel suo territorio culturale”, ha asserito. Dunque, parlare di Corano e Sharia.