Carissimi amici,

voglio essere anche io partecipe della vostra gratitudine al Signore, dentro un dolore immenso, per il compiersi della vita del nostro carissimo don Paolo.

«La gioia più grande della nostra vita è quella che ad ogni piccola o grande sofferenza ci fa scoprire: “Ecco, ora sei più simile”, più “impastato con Lui”. La vita per la felicità degli uomini, per l’amicizia di Gesù», scriveva don Giussani a un giovane amico. La malattia è stata vissuta da don Paolo come una “vocazione nella vocazione”. Progressivamente spogliato di tutto, la sua povertà ha rivelato a tutti la sua ricchezza: Cristo.



Don Paolo si è “impastato” sempre di più con Cristo, fino a salire sulla croce con Lui, e questa è stata l’origine di quella fecondità che avete sperimentato in questi suoi ultimi anni a Firenze. È la stessa fecondità che lo ha reso padre di tanti in America Latina. Chi lo incontrava rimaneva contagiato dalla ilarità del suo sguardo, trasparente di Colui che aveva di più caro.



Don Giussani, che fu all’origine della sua vocazione per l’incontro con il movimento, lo riceva a braccia aperte come si accoglie un figlio che torna a casa, per introdurlo alla presenza del Padre che dà il respiro, la vita e ogni cosa.

A noi la responsabilità di seguirlo, cioè di rivivere l’esperienza di fede per cui ha offerto tutto se stesso.

 

don Julián Carrón

Milano, 24 agosto 2017

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