Carla Fracci resta una delle figure italiane più ammirate nel mondo non solo nella disciplina che l’ha resa grande, il balletto, ma a livello artistico in generale. In un’intervista, la grande ballerina si è raccontata partendo da quello che viene considerato da tutti un suo vezzo distintivo, l’abitudine a vestirsi solo di bianco. Abitudine che secondo la Fracci è vera e iniziò ai tempi della sua gravidanza, nel 1969, ma non è assolutamente vero che la grande Etoile vesta solo ed esclusivamente di bianco. Una carriera che ha attraversato sessant’anni di storia nei teatri di tutto il mondo, con il grande poeta Eugenio Montale che ha dedicato a Carla Fracci una poesia, intitolata “La danzatrice stanca”. “Era un uomo ironico e tenero. Cantava arie d’opera in spiaggia, era un bravo baritono. E in quei versi colse una fase importante della mia vita”, racconta Carla Fracci nell’intervista. Ma si tratta solo di uno dei grandi personaggi con cui la Divina, ora arrivata agli 81 anni d’età, ha avuto a che fare nella sua vita.
UN FUTURO CHE NON LE APPARTIENE PIU’?
La Fracci racconta che avrebbe voluto un altro figlio, ma proprio non ce l’ha fatta a fermarsi: “Viaggiavo troppo, sarei stata una madre distante. Però, vede, io facevo la spola tra New York e l’Italia proprio perché non riuscivo a fermarmi. Da ragazzina danzavo ovunque. Nelle piazze, nelle scuole, sotto ai tendoni. Da Carpi a Catania, da Lorenteggio a Reggio Emilia.” E infatti a Carla Fracci viene riconosciuto il merito di aver portato la danza e il balletto classico a portata della gente comune, tanto da essere stata la prima a portare questo tipo di spettacoli in Africa. Un pizzico di rimpianto traspare dalle parole di Carla Fracci quando si parla di un futuro che forse, e non per limiti di età, sente non appartenerle più: “Potermi occupare di un gruppo di giovani, insegnare, avere un ruolo direttivo. Avrei tanto voluto una compagnia di danza nazionale. Ma questo mondo è cambiato, stanno smantellando le compagnie un po’ dappertutto. Ed è cambiata anche Milano. Nonostante io sia sempre molto legata alla città.”
LA COPERTINA DEL “TIME” SFUMATA
L’aneddoto più interessante raccontato nell’intervista è quello del rapporto professionale con un’altra leggenda della danza, Nureyev: “Una volta doveva fare il suo difficilissimo Schiaccianoci e pretese che io danzassi con lui. Ma avevo appena cinque giorni per imparare quella coreografia impossibile, freudiana. Mi diedero un video da studiare, così, da ferma, e io replicai con un “voi siete matti”, ben decisa a rifiutare. Ma Rudi non volle sentire storie: in due giorni mi insegnò i passi e al quarto ero già in tutù alla prova generale. Prima del debutto mi strinse la mano e, alla fine, mentre tutti applaudivano in piedi, mi sussurrò: “Ecco che cosa vuol dire avere coraggio.” Unico rimpianto della carriera? Una copertina del Time, il più importante giornale del mondo, sfumata per fare le prove a New York: sarebbe servito tempo per farsi fare il ritratto che sarebbe andato in copertina e l’avrebbe immortalata con il danzatore danese Erich Bruhn. Prevalse il senso del dovere, ma a ripensarci oggi…