Sono rimasti di sasso, i genitori della San Domenico School di San Anselmo, California, quando qualche giorno fa sono tornati ad accompagnare i figli a scuola dopo le vacanze e hanno scoperto che le suore domenicane che la gestiscono hanno rimosso tutte le statue di soggetto religioso, compresa quella di San Domenico, “per facilitare l’integrazione — è stata la spiegazione — degli alunni di altre fedi”.



Va bene, la rimozione delle statue è il tormentone di questa tarda estate americana: le dispute di Charlottesville e dintorni hanno tenuto banco su giornali e social nelle ultime settimane, e pongono una questione seria. Però la vicenda della San Domenico School mi pare ponga una questione ulteriore.

Ma andiamo con ordine. Ha senso togliere le statue dei generali confederali dalle piazze delle cittadine del Sud degli States? Certo che ha un senso, anche se a Trump non piace e a me neppure: sempre i vincitori hanno distrutto le statue — i luoghi, gli edifici, le memorie — dei vinti. I missionari cristiani dei primi secoli distruggevano le fonti pagane, Lutero e Calvino hanno fatto piazza pulita degli ornamenti delle chiese, la rivoluzione francese ha spazzato via metà del patrimonio artistico francese, i Paesi usciti dal comunismo hanno tolto dalle piazze le statue di Lenin, i talebani hanno distrutto i Buddha di Bamiyan, Isis ha spianato con i bulldozer le mura di Ninive. L’elenco potrebbe continuare all’infinito: sempre i vincitori vogliono riscrivere il passato, vogliono cambiare la memoria collettiva, vogliono eliminare i segni lasciati dal “nemico”.



Si può fare anche in modi più sottili. Il protagonista di 1984, il celebre romanzo di Orwell, lavora al Ministero della verità. Il suo compito è prendere i giornali del passato e modificarli, in modo che risulti che l’alleato di oggi è l’alleato di sempre, anche se in realtà ieri era il nemico. I libri di storia — da sempre — propongono immagini del passato in cui i vincitori di oggi sono i buoni di ieri e gli sconfitti di oggi sono sempre stati i cattivi. Niente di nuovo sotto il sole, si potrebbe chiosare: per la cultura dominante tutto quel che non è allineato al politically correct vincente è male, e i suoi segni devono sparire.



Di solito però i vinti difendono le loro memorie. Gli italo-americani di Chicago si oppongono alla rimozione della statua di Italo Balbo: per loro non è innanzitutto un “fascista”, ma un connazionale che ha compiuto una grande impresa. Gli abitanti della Virginia e dell’Alabama difendono i “loro” generali non perché erano schiavisti, ma perché fanno parte della loro identità. A San Anselmo no. A San Anselmo sono state le buone suorine che si sono fatte da parte, che hanno giocato d’anticipo, che si sono preoccupate di togliere da sé i segni di un passato che agli “altri” potrebbe dar fastidio. Mi pare il segno di una vittoria più sottile e più pericolosa, quando sono i vinti stessi — perché questo siamo, da un punto di vista storico, noi cattolici oggi (la vittoria che Cristo ci ha assicurato c’è, ma è di altra natura) — a interiorizzare la mentalità dei vincitori, e a far piazza pulita dei segni del loro passato. Perché siamo fatti di carne e ossa, abbiamo bisogno di segni materiali. Quando li togliamo, anche il loro significato è in pericolo.