Nella consueta rubrica di lettere su Famiglia Cristiana questa volta viene toccato un tema che dire delicato è forse “sparare” il più grande degli eufemismi: una ragazza 17enne, Alessia, racconta ai due pedagogisti e consulenti della famiglia Gilberto Gillini e Mariateresa Zattoni, come la madre in un momento di rabbia le abbia rivolto queste parole. «Io avevo 17 anni (come me ora!) e abbiamo fatto l’amore in auto. Sono rimasta incinta e mia madre mi ha riempito di botte per farmi abortire; io ti ho tenuto, ma tu mi deludi». Non sappiamo che cosa abbia fatto Alessia per provocare una reazione così dura e profondamente accusatoria della madre, tanto che anche il padre le avrebbe confermato «Sì, è vero, e tu devi ringraziarci che ti abbiamo tenuta!»; non sappiamo la dinamica di una storia e una dimensione profondamente personale e famigliare di quel nucleo particolare; non sappiamo, ma ce lo auguriamo, che sia avvenuta la pace e il perdono tra la figlia e i genitori. Sappiamo però che un “messaggio” del genere è quanto di più ingiusto e sbagliato possa essere “imputato” ad una figlia e in generale a chiunque viva questa vita nel mondo. Come giustamente rispondono i due pedagogisti su Famiglia Cristiana, «non sappiamo cosa pensare di due che si comportano da “adulti” una sera in auto e poi non trovano di meglio che… rinfacciarti di essere nata. Ogni nascita, nel momento del concepimento, dovrebbe custodire un segreto: l’incontro di uno spermatozoo e di un ovulo, quando accade e dà vita a quell’essere irripetibile e unico al mondo che sei tu, è un evento sacro, non usabile per fini più o meno egocentrici».



IL “VALORE” DELLA DIFFERENZA

Siamo certi che quanto riferito dalla mamma sia avvenuto in un raptus di rabbia, magari davanti ad un errore grandissimo e apparentemente “imperdonabile” della figlia; eppure nulla, ripetiamo, nulla può realmente giustificare il “ricatto” di aver dato la vita a qualcuno per il semplice motivo che… non è vero! I genitori hanno deciso con responsabilità di tenere una vita che non avevano previsto, erano giovanissimi eppure hanno avuto l’umiltà e la razionalità per capire che una vita che loro non avrebbero assolutamente voluto e messo in preventivo quella sera in macchina, era in quel momento esistente nella pancia della donna. Una vita che non avevano scelto loro e che è stata donata da Altro: ecco, 17anni dopo “ricattare” la figlia perché magari non è adeguata al pensiero e alle speranze che i genitori avevano su di lei nasconde l’inganno egoistico che ciascuno di noi purtroppo si porta dietro. Siamo dannatamente alla ricerca di qualcuno che ci perdoni (come magari quegli stessi genitori 17enni tanti anni fa che hanno visto nascere il frutto della loro “bravata”), ma noi siamo i primi a non volerlo fare se “esce dal nostro schema/impianto mentale”. «Per i tuoi genitori l’averti concepito in quel modo non è una responsabilità ma… un credito che tu devi pagare, divenendo la figlia che loro si credono in diritto di avere. Nella tua lunga e dolorosa lettera, tu affermi che ti senti in colpa per la vita difficile che tua madre ha dovuto condurre “a causa tua”. La tua conclusione amara suona: «Era meglio che non fossi nata!». Ma questa è una bestemmia contro la vita», scrivono ancora Gillini e Zattoni, consigliando alla ragazza di non farsi terrorizzare e di affermare, seppur nelle difficoltà della propria vita, «è bene che io ci sia!».



In particolare, i due esperti consigliano alla ragazza il loro ultimo saggio dal titolo “Benedette Differenze” dove scrivono, «sono i grandi (i genitori) a prendersi cura dei piccoli (i figli) e non viceversa. E tu, nel momento segreto del tuo aprire gli occhi alla vita eri piccolissima. Un dono, anche per noi». La differenza di aspettativa tra un genitore e l’effettivo percorso di un figlio; la differenza tra chi fonda una famiglia e chi riceve la vita; la differenza tra chi è grande e chi è piccolo. Tutte queste “differenze” in quel saggio vengono sottolineate per poter dimostrare come vi sia “terribilmente” bisogno di educarsi e di educare alla differenza oggi, in un mondo in cui regna «l’omologazione del pensiero unico, delle multinazionali del pensiero che ci dicono che cosa dobbiamo pensare e dire per essere politically correct. Insegnare la differenza è oggi la somma di tutti i beni da lasciare per le future generazioni, anzi, per una durevole consistenza del mondo umano». Abbiamo tutti bisogno di quella “differenza”, come del resto abbiamo tutti bisogno di quel “perdono” dopo uno sbaglio: tanto da ragazzini quanto da adulti, ecco forse l’unica vera “omologazione” che non distrugge ma esalta l’umano.

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