Caro direttore,
leggendo della bambina cristiana di cinque anni che in Gran Bretagna, in seguito alla separazione dei genitori, è stata data in affido a due famiglie musulmane snaturandone l’educazione e la provenienza culturale, la domanda che mi sorge in cuore non è tanto quella relativa a dove stiano andando le istituzioni e gli Stati, quanto quella sull’origine della mia fede e della mia adesione al cristianesimo.
Più ci penso, più ripercorro gli infiniti tornanti della mia vita, più mi rendo conto che è la realtà che mi ha fatto cristiano. Il cristianesimo, infatti, lungi dall’essere un mero habitus culturale che si trasmette di padre in figlio, è una scoperta che uno compie nel rapporto con la propria vita. Volendo essere sincero, devo dire che all’origine del mio cammino umano sta un disagio e una fragilità che mi avrebbero annebbiato la mente se, ad un tratto, non avessi percepito l’esistenza di Qualcosa di Altro, di diverso, da quello che ero io.
La prima battaglia che ho dovuto combattere è stata quella contro la mia presunta indipendenza dalle cose e dal mondo: la pretesa di essere autonomo, slegato da ogni responsabilità e da ogni oggettività, mi aveva portato a concepire me stesso come il metro e la misura di tutto, pensando di poter risolvere ogni questione nell’ambito di quello che credevo e che ritenevo giusto e opportuno. La realtà mi ha scarnificato e reso povero, mi ha fatto toccare con mano il male che potevo e che posso fare, il crollo dei miei miti e delle mie ideologie, il tramonto di “quello-che-volevo-essere” e “pensavo-di-essere” in favore della miseria che ero.
L’Altro si è affacciato nella mia vita inizialmente come una minaccia, un nemico, della mia presunzione. Del resto, adesso capisco che non poteva essere diversamente: più un uomo si concepisce da sé, concluso in se stesso, più è drammatico doversi arrendere al fatto che niente — né l’inizio, né la fine, né il corso della vita — sono nelle tue mani. Io con il mio tormento e la mia inquietudine sono arrivato fino lì, fino ad avvertire nitidamente un’Ombra che eccedeva la mia persona e la metteva in discussione: la realtà mi aveva reso anzitutto bisognoso.
Però se a quel punto nella realtà non fosse successo qualcosa, se non avessi incontrato certa gente e certi volti che davano a quell’Ombra il nome di Cristo, sarei diventato — e lo stavo diventando — cinico e disperato. Ma non è bastato sentirNe parlare, sentirNe pronunciare il nome: ho dovuto rendermi conto in prima persona che era Lui, con quei tratti descritti dai miei amici e raccontati nel Vangelo, ad essere vivo e presente davanti a me.
Per questo dico che è la realtà che mi ha fatto cristiano: perché finché non ho verificato la coincidenza tra quello che di Lui sentivo raccontare e quello che dell’Ombra vedevo, non ho potuto arrendermi al fatto che era Lui, che fosse Lui, ad essere così imponente e reale. La realtà senza la Chiesa e la Scrittura è solo strada di rimpianti, la Chiesa senza Scrittura e senza realtà è solo ideologia in mano alle menti che la pensano, la Scrittura senza Chiesa e senza realtà è solo sentimento. Oggi, dopo tutti questi anni, sono ancora qui che chiedo ogni mattina a Cristo di svelarmi chi sono.
Cosa c’entra tutto questo con quella bambina? Il triangolo della fede, una volta piantato sulla realtà e sulla Tradizione, ha bisogno della libertà per stare in piedi. Ecco, io credo, molto umilmente, che nessuno potrà mai toglierci la realtà o la libertà. Altrimenti saremmo marxisti, determinati dalla tradizione in cui cresciamo, o borghesi, ossia decisi ad utilizzare la tradizione in cui cresciamo nella misura in cui essa serve o realizza i nostri progetti.
Invece siamo cristiani, consapevoli del fatto che una cultura ci segna, una tradizione ci plasma, ma solo la Verità ci perseguita. E questa Verità non può essere fermata da nessuna cultura e da nessuno Stato. Essa c’è. Loro la possono ostacolare, la possono inibire, la possono perfino infamare. Ma davvero si può credere che qualcuno la possa fermare? Davvero si può credere che il nostro cuore smetta di averne nostalgia? Mi dispiace per la Gran Bretagna e per i Soloni del nostro tempo, ma io, se devo partire da quello che ho vissuto, tra le decisioni di uno Stato, di una famiglia o di una fanatica propaganda, e la libertà dell’Io, ecco: io scommetto ancora sulla vittoria della libertà. Perché davvero non posso stancarmi, per quel poco che so e che vedo, di scommettere ancora sulla vittoria della realtà, sulla vittoria di Cristo. Lotterò come posso per impedire che gli uomini facciano leggi o scelte ingiuste, lotterò con le mie mani, ma consapevole comunque della Sua forza.