Era il 31 agosto 2012 quando l’ex Arcivescovo di Milano, il Cardinal Carlo Maria Martini, lasciò questo mondo dopo tanti anni di fatiche e dolori per una malattia che progrediva e non lasciava più scampo al grande uomo di fede e preghiera che rappresentò, nolente o volente, la Chiesa Cattolica negli anni postconciliari. Spesso con tesi anche “azzardate” e in alternativa a quanto Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI seppero esprimere al vertice della Chiesa: uomo di preghiera e profondo conoscitore della Liturgia e delle Sacre Scritture, il Cardinal Martini ha saputo rappresentare le sfide della modernità in qualche modo “anticipando” quando poi un altro gesuita, come il Cardinal Bergoglio, porterà in Vaticano dopo l’elezione a Pontefice della Chiesa. Nel recente messaggio mandato dal Segretario di Stato Pietro Parolin alla kermesse del Meeting di Rimini, è stato ricordato l’importante figura di Martini in relazione alla presenza di Cristo e del cristiano in un mondo sempre più secolarizzato. «La contemplazione ci richiama a riconoscere il primato di Dio e il mistero della persona. Ricordo che proprio nella sua prima lettera pastorale, il card. Martini tematizzava come la presenza del cristiano nella città secolare dovesse ripartire dalla contemplazione di Dio. La contemplazione è «l’essere stesso dell’uomo che si pone in trasparenza alla luce di Dio».7 Nell’affermazione che solo Dio è Dio noi ritroviamo la presenza e la trascendenza di Dio nella storia e i criteri di discernimento della nostra responsabilità storica».



LE ARMI DEI TERRORISTI CONSEGNATE ALL’ARCIVESCOVO

L’eredità di Martini si misura negli altri Arcivescovi che lo hanno seguito, dal compianto Tettamanzi all’uscente e grande teologo Angelo Scola fino alla nuova figura del nuovo Arcivescovo appena nominato Mario Delpini: dalle loro opere fino al loro lascito si uniscono nella lunga eredità lanciata da Martini sulla Diocesi più grande al mondo. Ricordiamo, tra gli altri tanti spunti, quanto lo stesso Martini scrisse nella sua prima rubrica di Lettere che usava tenere sul Corriere della Sera fino a qualche mese prima della morte nel 2012: «Oggi la negazione della verità assume spesso la figura dell’omissione voluta e colpevole, condizionata dalla paura o dall’interesse, o anche dalla paciosità: mi guardi il Signore da queste trappole!». Negli ultimi giorni un fatto singolare ha riportato all’attenzione anche della cronaca la figura di Marini come riferimento non solo di una città ma di una intera “stagione” culturale che attraversò dai Settanta agli Ottanta con notevoli cambiamenti. Era il 13 giugno 1984 quando nell’Arcivescovado di Milano uno sconosciuto si presentò al segretario del cardinale Carlo Maria Martini, don Paolo Cortesi: «abbandonò sul tavolo tre borse, contenenti due fucili kalashnikov, bombe a mano, altre armi e munizioni. Era l’arsenale dei “Comitati Comunisti Rivoluzionari”, gruppo terroristico di sinistra, ritenuto contiguo alle Brigate Rosse, che negli anni settanta aveva firmato eclatanti azioni di sangue», ha spiegato l’Ansa proprio nei giorni in cui si celebra l’anniversario della morte di Martini. Un gesto simbolico di grande impatto che segnala, anche se molti anni dopo, quella decisa scelta di chiudere la lotta armata e sollecitare la mediazione della Chiesa per una «riconciliazione umana, sociale e politica». Il cardinale consegnò le armi alla polizia e scelse il silenzio su quel gesto, agendo più nell’ombra e contribuendo lo sviluppo da un lato delle indagini contro il terrorismo latente nella città di Milano e dall’altro alla personale e attenta promozione di riconciliazione, redenzione e superamento di troppi anni di violenza.

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