È un volume scritto nel 2008, o meglio, che raccoglieva molti interventi dell’allora cardinale Joseph Ratzinger mentre insegnava all’Accademia Cattolica di Baviera. Fede, verità, amore: concerti vuoti, vani, superati e della semplice tradizione cattolica? Oppure qualcosa di più, in un mondo in costante fermento e criticità, tra tragedie immani e vicende che segnalano una incredibile emergenza educativa, sociale, comunitaria? Con il testo “Perché siamo ancora nella Chiesa”, Papa Benedetto cercava di illuminare l’Europa e il Mondo di allora attorno al concetto di fede come emergenza e urgenza; letto oggi grazie al report di alcuni stralci pubblicati da Aletheia, è tutt’altro che “fuori contesto” rispetto ai disastri del mondo di oggi con la stessa Chiesa che vive una preoccupante fatica interna tra anime diverse e accuse reciproche di allontani dal messaggio originale del Signore. «Sono nella Chiesa perché credo che, ora come prima a prescindere da noi, dietro la “nostra Chiesa” vive la “Sua Chiesa” e che io non posso stare vicino a Lui se non rimanendo vicino e dentro alla Sua Chiesa. Sono nella Chiesa perché, nonostante tutto, credo che nel profondo essa non sia nostra, bensì proprio “Sua”», illuminava Ratzinger all’interno delle ricchissime lezioni all’Accademia Cattolica; «malgrado tutte le sue debolezze umane, è la Chiesa che ci dà Gesù Cristo e solo grazie a essa noi possiamo riceverlo come una realtà viva, potente, che mi sfida e mi arricchisce qui e ora».
PERCHÈ RIMANGO NELLA CHIESA? IL TESTO ILLUMINANTE DI RATZINGER
LA CHIESA REDIME L’UOMO
Spesso si sente in giro, non solo negli ambienti culturali, “credo in Dio e in Cristo, ma non nella Chiesa”: ecco, avendo bene in mente questo rischio e limite, l’allora Cardinal Ratzinger era convinto nel dire, «non vi è alcuna contrapposizione definitiva tra Cristo e la Chiesa. E’ attraverso la Chiesa che egli rimane vivo, superando la distanza della storia, ci parla oggi, ci è oggi vicino come nostro maestro e Signore, come nostro fratello che ci rende fratelli». Non si può credere da soli e lo stesso concetto di comunione non può che essere “insieme con gli altri”. Nella crisi delle vocazioni e nelle fatiche odierne, non manca però oggi uno sguardo vivo all’interno della Chiesa Cattolica che prende così sul serio le esigenze e le domande dell’uomo. Il futuro Papa Benedetto XVI intendeva mettere in allerta chiunque si fosse costruita una fede “ad personam” e taglia su misura delle proprie aspettative, «La fede esige una comunità che abbia autorità e che sia superiore a me, non una mia creazione, che sia lo strumento dei miei stessi desideri». Ma allora perché Ratzinger e i tantissimi come lui, anche oggi nella post-modernità sempre più veloce e tecnologica, rimangono ancora oggi nella Chiesa di Cristo? «Rimango nella Chiesa perché considero la fede, realizzabile solo in essa e comunque mai contro di essa, una necessità per l’uomo, anzi per il mondo, che vive di essa anche se non la condivide. Infatti dove non c’è più Dio – e un Dio che tace non è Dio – non c’è più nemmeno la verità che precede il mondo e l’uomo». Ratzinger rimane nella Chiesa, come ribadisce lui stesso nei discorsi all’Accademia, «perché solo la fede della Chiesa redime l’uomo»: infatti, come ha insegnato poi anche tutto il Magistero di Papa Benedetto impregnato sul concerto di libertà e ragione, «l’idea che si possa creare un mondo senza dolore e il desiderio di ottenerlo subito con le riforme sociali, con l’abolizione del potere e dell’ordinamento giuridico sono un’eresia, una profonda incomprensione della natura dell’uomo».
IL “RISCHIO” DELL’AMORE
Un elogio della “fatica” ma non una celebrazione del “masochismo” o del soffrire per un risultato spostato molto in là nel tempo (la vita dopo la morte): secondo Ratzinger, «non risulta forse come una prova rilevante a favore del cristianesimo il fatto che esso rende gli uomini più umani, legandoli a Dio?». Chiudendo la trattazione mostrata da Aletheia, l’allora cardinal Ratzinger aveva cercato di porre un’ultima attenzione al concetto e al valore dell’amore: «senza l’amore non si può vedere nulla e che quindi si deve amare anche la Chiesa, per poterla riconoscere», ma dire questo non è certo un argomento che lascia “tranquilli”. «Si giova di più agli uomini tranquillizzandoli e abbellendo la realtà, oppure intervenendo in loro favore continuamente contro la perdurante ingiustizia e contro l’oppressione delle strutture?», esclama ancora il Pontefice, che spiega nel dettaglio come l’amore vero all’altro è un percorso lento e costante, ma per nulla statico o acritico. Tanto nei rapporti affettivi, quanto per la Chiesa, il concetto dell’amore come “rischio” è uno dei punti di massima fatica e nello stesso tempo fascino dell’essere cristiani. «L’unica possibilità di cambiare in positivo un altro uomo è quella di amarlo e aiutarlo quindi a cambiare lentamente, da ciò che egli è a ciò che egli può essere. Lo stesso vale per la Chiesa». Un invito al cambiare continuamente, alla critica costruttiva per poter amare di più il prossimo e anche le varie sfide che ha davanti la Chiesa pur dopo 2000 la venuta di Cristo. «Vi furono uomini che amarono la Chiesa in modo vigile, con spirito “critico”, e furono pronti a soffrire per essa. Se oggi non riusciamo più in nulla, è solo perché tutti siamo troppo preoccupati di affermare solo noi stessi». Touché, Papa Emerito.