L’eredità spirituale che ha lasciato Edith Stein è immensa: è innanzitutto un simbolo di pace. Pur essendosi convinta al cattolicesimo, non ha mai rinnegato le sue origini ebraiche. E si è presa cura dei bambini che erano ad Auschwitz con lei, accompagnandoli con compassione e umanità verso quella morte che ha abbracciato una settimana dopo la sua deportazione. La sua storia è più attuale che mai, perché nel momento in cui poteva prevalere lo smarrimento ha saputo dare un senso al male. In una situazione di sofferenza e angoscia inaudita si è fidata di Dio fino alla fine. Per questo la suora carmelitana Elisabeth di Carmel du Pâquier, in Francia, è convinta che abbia «ricordato che Dio vince sul male». Ma è anche un esempio di coesistenza tra ragione e fede: Edith Stein, che aveva studiato filosofia, aveva trovato un punto di incontro che oggi sembra ancora irraggiungibile. (agg. di Silvana Palazzo)



EDITH STEIN, SANTA DEL DIALOGO IN UN MONDO DI CONTRASTI

“ALLA FINE RESTERÀ L’AMORE”

Quello di oggi è il giorno in cui si ricorda Edith Stein, una delle figure più affascinanti e al tempo stesso complesse del secolo scorso. Di sicuro è una grande ispirazione per le donne, visto che studiò e insegnò una materia che era quasi sempre riservata agli uomini: la filosofia. Proclamata Beata nel 1987, la donna originaria di Breslavia venne canonizzata da Giovanni Paolo II nel 1998, diventando così Santa Teresa Benedetta della Croce, con il nome che assunse quando divenne suora. Questa è dunque una figura che trascende l’ambito religioso: già prima di convertirsi al cattolicesimo si era distinta per le sue opere. Si offrì infatti volontaria come infermiera della Croce Rossa allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, poi mise da parte gli studi per dedicarsi alla vita comune con le consorelle. Il 2 agosto 1942 però venne prelevata dalla Gestapo e deportata ad Auschwitz, dove morì una settimana più tardi, il 9 agosto, in una camera a gas con la sorella Rosa.



“CON LEI UN VIAGGIO NELL’ALTRO MONDO”

Edith Stein è considerata un ponte tra l’ebraismo e il cattolicesimo: la sua ricerca rappresenta un esempio per credenti e laici che sono alla ricerca della verità. Ma rappresenta soprattutto un simbolo di accoglienza e tolleranza. Chi ha avuto modo di parlarle finiva per commuoversi: «Una conversazione con lei era come un viaggio in un altro mondo». Alla visione dell’orrore di Auschwitz rimase senza parole, se non per esprimere lo stupore per la malvagità umana e le sofferenze che gli altri fratelli stavano provando. Gli altri, come se non toccassero lei, che evidentemente era già oltre. Il giardiniere del monastero di Echt, un giornalista amico e un giovane ex deportato l’avvicinarono nei suoi ultimi momenti. E provarono ad aiutarla, a liberarla, ma sorprendentemente supplicò di no, perché non sarebbe stato giusto fare un’eccezione per lei che era stata battezzata.



Il giornalista Van Kempen parlò allora di «una donna spiritualmente grande e forte». Il giovane, sopravvissuto all’orrore nazista, notò in particolare il coraggio di Edith Stein: «Dava le sue risposte così come era essa stessa. Quando l’SS bestemmiava, non reagiva, ma rimaneva se stessa. Non aveva assolutamente paura». Un funzionario olandese, Wielek, invece, come riportato dall’Osservatore Romano, ricordò un dialogo nel quale disse umilmente: «Il mondo è formato da contrasti… Ma alla fine non resteranno. Rimarrà solo il grande amore. Come potrebbe essere diversamente?».