Quando si alza forte il vento del deserto del Sahara, ci sono scheletri, ossa umane che volano in alto. Sono i resti dei tanti che affrontano i viaggi della disperazione per venire da noi, chiusi come bestie in furgoni con pochissima aria, nel caldo cocente, senza possibilità di uscire fino alla meta, le coste libiche. Molti muoiono dal caldo e vengono buttati nel deserto. Le ossa che volano nel vento del Sahara sono le loro. Arrivati in Libia, l’inferno non finisce, anzi. Chiusi in edifici di cemento, devono chiamare i familiari a casa per farsi mandare i soldi del viaggio. Per convincerli, li torturano per far sentir loro cosa succede se non pagano. Se i soldi non arrivano, rimangono rinchiusi anche per anni o costretti a lavorare come schiavi, mentre le donne subiscono stupri anche 4 o 5 volte al giorno. Chi partirà, rischierà poi la morte su gommoni scassati. Ce lo ha raccontato Suor Marie Jo, ospite dell’ultimo Meeting di Rimini, camerunense, mandata dalla sua congregazione a Parigi a prendersi cura di chi riesce ad arrivare fino a lì. In Francia c’è il numero chiuso, e migliaia di loro vivono per le strade in attesa di essere accolti, distrutti psicologicamente e umanamente da quello che hanno passato, con un futuro che nessuno sa quello che sarà. Suor Marie ha fondato una organizzazione che con l’aiuto di volontari li assiste, li aiuta, soprattutto cerca di ricostruire la loro dignità e umanità perdute: “Non guardo mai a che religione appartengono, siano musulmani o cristiani non fa alcuna differenza. Conta la persona da aiutare e niente altro”. Oltre qualunque muro. Fino a quando potremo ignorare tutta questa sofferenza?
In Francia c’è il numero chiuso per ottenere l’asilo. Chi rimane fuori da questo numero in che condizioni vive? Chi sono?
Tra di loro c’è di tutto. Non scegliamo un tipo di persona particolare, cerchiamo di aiutare chiunque ne ha bisogno. Abbiamo cominciato con i primi che sono arrivati qui. La migrazione provoca un smarrimento mentale, quando partono dai loro paesi sono convinti di trovare un Eldorado e di colpo tutto questo crolla, perdono tutti i punti di riferimento. La nostra associazione si occupa di queste persone che per la maggioranza vivono per strada.
Che tipo di aiuto offrite?
Cerchiamo di orientarli su dei luoghi dove possano trovare il più presto possibile una possibilità di vita umana. Con molti di loro si crea un rapporto che si mantiene. Quando ottengono lo status di profugo devono cavarsela da soli, trovare una casa e un lavoro in una società che non capiscono e non conoscono. Li aiutiamo dal punto di vista umano ma anche dal punto di vista legale e sociale. Abbiamo una rete di solidarietà fatta di organismi a cui ci appoggiamo per la salute, per l’aspetto giuridico e sociale. Ma per noi la cosa più importante è aiutarli a ritrovare la dignità umana che hanno perso, che era già infranta a casa loro e che il viaggio fino a qui ha contribuito a peggiorare ulteriormente.
Lei avrà conosciuto una infinità di casi e di persone, puoi raccontarcene qualcuno?
Ho tantissime storie che potrei raccontare. Queste persone quando cominciano la traversata del deserto vengono spesso fermate dalla polizia locale che li spoglia di tutto e li rimanda indietro. Altri si affidano ai trafficanti di droga che li caricano in furgoncini chiusi come animali. I più deboli muoiono e vengono buttati fuori, nel deserto. Quando aprono le porte del furgoncino esce fuori un fiume di liquido: è il sudore che hanno versato in quei furgoni cocenti.
Poi arrivano in Libia dove non trovano una situazione migliore.
Quando scendono finalmente dal furgone sparano alle gambe di uno di loro scelto a caso per far capire a tutti che devono obbedire. Li chiudono in baracche di cemento costruite vicino alle abitazioni e li fanno chiamare a casa mentre li torturano, perché così le famiglie mandino loro i soldi per attraversare il mare. Le donne subiscono stupri anche 4 o 5 volte al giorno, tutti i giorni. Molti rimangono per un anno e anche più, perché a casa non hanno più nessuno che possa mandare loro dei soldi e vengono fatti lavorare come schiavi nei campi. Noi qui in Francia li aiutiamo, ma non possiamo fare nulla per andare alla radice del problema che è a casa loro e in Libia.
Dovrebbe farlo la politica europea.
A noi la politica non interessa, ci interessa la persona umana, quella che abbiamo davanti, non possiamo rimanere a fare nulla, anche se la politica è assente. In Libia quando finalmente hanno i soldi li obbligano a salire sui barconi, se non lo fanno gli sparano, anche se sono barconi danneggiati che non possono salpare.
Lei è una suora cattolica, queste persone in maggioranza sono musulmani. In Europa si ha paura di loro per questo motivo, eppure lei ci dimostra che il bene del prossimo è la cosa più importante.
Quando io ho di fronte qualcuno vedo un essere umano e non una identità religiosa. Molto spesso sono contenta che mi parli della sua fede, Cerchiamo di aiutarli a trovare luoghi dove vivere la loro fede. Io non faccio nessuna differenza tra una religione e l’altra, Gesù nel suo amore e tenerezza non ha avuto limiti con nessuno, Lui pensava solo a fare del bene a tutti.
(Paolo Vites)