Il Fisco contro la Chiesa di Pesaro: l’accusa è di evasione. L’Agenzia delle Entrate ha accertato che sono state pagate meno tasse del dovuto, cioè la metà. Nel mirino sono finiti tutti i contratti di affitto tra Diocesi e privati dal 2013 e le tasse che di conseguenza sono state versate. La chiesa locale ritiene che l’aliquota Ires da pagare sugli affitti debba essere del 13,75% grazie al Concordato, ma la differenza mancante, che si aggira sui 150 mila euro, è stata chiesta indietro con un accertamento notificato alla Diocesi. Quest’ultima ha presentato subito il ricorso alla commissione provinciale, facendo leva sul Concordato firmato 33 anni fa tra il governo Craxi e Stato del Vaticano. In base a questo accordo le Diocesi possono pagare il 50% in meno di tasse sugli affitti. Non mancano i precedenti, che si sono peraltro conclusi con l’annullamento dell’accertamento, ma non è detto che accada anche per il caso di Pesaro.



LA REAZIONE DEL DIOCESI

Dalla Chiesa di Pesaro il Fisco nazionale riceve ogni anno di tasse circa il 60% dell’incasso complessivo. La Curia all’anno paga circa 200 mila euro di tasse, per la maggior parte al Comune attraverso l’Imu (oltre 120 mila euro) e al Fisco con l’Ires per 70 mila euro. Ora lo Stato per quest’ultima voce ne vuole il doppio, ricordandosene con 33 anni di ritardo. Ma la Diocesi di Pesaro non ci sta: «Questo accertamento è un attacco politico, e l’interpretazione della norma non c’entra nulla. La chiesa riutilizza i proventi degli affitti per le sue missioni benefiche, per la manutenzione delle sue strutture molto vecchie, per consentire ai sacerdoti di svolgere il loro ministero nelle parrocchie», ha dichiarato il ragionier Elio Macchini, economo del consiglio diocesano per gli affari economici, a il Resto del Carlino. La battaglia, dunque, è servita: «Pensiamo che sia una strategia studiata a tavolino per far sparire la chiesa».

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