SOLFATARA DI PUZZUOLI. Questa volta non c’entrano la furia della natura, la cattiva manutenzione dell’uomo o la sciatteria della pubblica amministrazione. Questa volta siamo di fronte a una pura fatalità. Un bambino di undici anni che scappa al controllo dei genitori e scavalca uno steccato che non avrebbe mai dovuto superare. Un papà che lo insegue e una mamma che insegue il papà finendo come lui, e come il figlio, in una voragine colma di gas letali. Perché questa sequenza da film dell’orrore si svolge nel vulcano della Solfatara, a Pozzuoli, dove il suolo emana fumi di zolfo che non andrebbero respirati.



Il luogo è di proprietà privata e da sempre è aperto al pubblico che paga il biglietto per assistere a quello che viene considerato uno spettacolo della natura. I cani, i gatti e i bimbi al di sotto di una certa altezza sono interdetti perché fino a circa mezzo metro dal terreno i miasmi sono mortali. Insomma, non propriamente un posto per picnic ma nemmeno l’anticamera dell’inferno visto che in tanti anni di onorato servizio è la prima volta che si assiste a un incidente del genere. L’immancabile inchiesta della magistratura chiarirà i contorni della vicenda stabilendo se ci sono responsabilità da distribuire o è stata tutta colpa del destino.



I tre sventurati turisti di Venezia — Massimiliano, Lorenzo, Tiziana —, che la cronaca specifica essere originari di Torino, sono morti quasi sul colpo. L’allarme è scattato tempestivamente. Pronto il soccorso dell’autoambulanza. Ma non c’è stato niente da fare. L’autopsia ripartirà le cause del decesso tra il trauma della caduta e i veleni inspirati. Sfugge a questo dramma, andando incontro a un altro non meno doloroso, un bimbo di sette anni: figlio della coppia e fratello del giovane sfortunato. I presenti raccontano che abbia cercato la madre con la voce del terrore senza avere risposta. È stato affidato ai servizi sociali in attesa che i nonni lo vengano a prendere.



Non c’è una ragione umanamente comprensibile perché tre vite debbano finire spezzate così e una quarta essere privata in tenera età dall’affetto dei suoi cari. L’imprudenza è stata fatale come in tanti altri casi al mare o in auto o in montagna. In occasioni come queste si apprezza il velo sottile che separa la vita dal suo opposto. Attraversare il confine è una questione di attimi. Un’esperienza obbligatoria che tutti vorrebbero rimandare al più tardi possibile. Dimenticando però di riempire il tempo che resta e che passa di cose preziose. Tranne a pentirsene quando è già tardi.