Non hanno ancora ricevuto giustizia le vittime degli stupri di guerra in Bosnia. A 25 anni dall’inizio del conflitto, sono anche oltre ventimila le donne che non hanno accesso né ad un risarcimento né ai servizi di assistenza fondamentali. Lo ha rivelato l’ultimo rapporto di Amnesty International, secondo cui sono tra le fasce della popolazione con livelli di disoccupazione e povertà più alti. “Abbiamo bisogno di sostegno, non di pietà. L’ultima speranza di giustizia per le sopravvissute agli stupri di guerra”, il nome del rapporto con cui l’organizzazione per i diritti umani denuncia le devastanti conseguenze fisiche e psicologiche di quei crimini e degli ostacoli che le donne devono affrontare per ottenere ciò di cui hanno diritto. Mentre mettono insieme i pezzi delle loro vite, si ritrovano a non poter contare sul sostegno di cui hanno invece bisogno. «Via via che passano gli anni, passa anche la speranza di ottenere giustizia o ricevere il sostegno cui hanno diritto. Queste donne non riescono a dimenticare ciò che è accaduto e noi, a nostra volta, non dovremmo dimenticarlo», ha dichiarato Gauri van Gulik, vicepresidente di Amnesty International per l’Europa.
I RITARDI DELLA GIUSTIZIA
Il rapporto è frutto di ricerche condotte nel corso di due anni che hanno permesso di accendere i riflettori sulla condizione di queste donne, sugli ostacoli sistemici con cui devono fare i conti, oltre che sull’assenza di volontà politica. Migliaia di ragazze e donne vennero stuprate e sottoposte ad altre forme di violenza sessuale da soldati e membri di gruppi paramilitari. Molte vennero schiavizzate, torturate e messe incinte nei cosiddetti “campi degli stupri”. Una di queste vittime, Elma, ha raccontato che era al quarto mese di gravidanza quando venne sottoposta nel campo ogni giorno a stupri di gruppo. Non solo ha perso il bambino, ma ha anche riportato danni permanenti alla spina dorsale. A 25 anni di distanza, non ha ricevuto alcun aiuto finanziario statale e necessita di cure mediche e assistenza psicologica. I processi per crimini di guerra sono cominciati nel 2004: da allora neppure l’1% del totale dei casi è arrivato in tribunale. Solo 123 procedimenti sono stati portati a termine. Negli ultimi anni il loro numero è aumentato, ma è anche poco per garantire che i responsabili compaiano di fronte alla giustizia. «Non credo più a nessuno, specialmente allo stato. Mi hanno tradito», ha detto Sanja, che era stata resa prigioniera e ripetutamente violentata da un comandante e dai suoi sottoposti. Ha denunciato il suo aguzzino, ma la polizia e la magistratura non hanno intrapreso alcuna azione e i servizi sociali le hanno negato l’assistenza non riconoscendo la gravità della situazione. Solo 800 sopravvissute possono accedere a una pensione mensile e ad altri servizi fondamentali. Questi ostacoli scoraggiano le vittime dal farsi avanti o le spingono a ricorrere ad “acrobazie amministrative” per ricevere aiuti. Diverse donne hanno riferito ad Amnesty International di essere state costrette a cambiare residenza ufficiale per ottenere una pensione mensile, ma in questo modo hanno dovuto rinunciare ai servizi pubblici e all’assistenza sanitaria e sociale nei luoghi dove effettivamente abitano.