La storia di Nadeem James, 24 anni, è di quelle che mettono i brividi. Perché vivere in Pakistan, per un giovane cristiano, è tutto tranne che facile. L’esempio calzante è quello che potrebbe costargli la vita, vista la condanna a morte per blasfemia sancita dal tribunale di primo grado a Gujrat, nel Punjab pakistano. E dire che il suo calvario è iniziato per via della denuncia di un ex amico, il musulmano Yasir Bashir. Un rapporto saldissimo il loro, fino a quando una lite non ha rovinato tutto. E in un paese come il Pakistan, quando nasce un dissidio tra un musulmano e un cristiano, la parola dei protagonisti non ha lo stesso peso. Capita così che il musulmano Yasir, istigato da due imam integralisti musulmani legati al gruppo “Sunni Tehreek”, nel luglio del 2016 decide di denunciare Nadeen per una poesia inviatagli su Whatsapp. Alcuni versi sembrano offendere il profeta Maometto e il codice penale pachistano, in base agli articoli 295a e 295c, parla chiaro: per la blasfemia la pena prevista è la morte. 



LA FUGA

Se diciamo che nel Paese in questione essere cristiano o musulmano non è la stessa cosa è perché, di fronte alla denuncia di un islamico, è il primo a dover presentare le prove per discolparsi dalle accuse. Un modo per dire che non esiste tutela, che si può essere condannati da un momento all’altro, con scarse possibilità di difendersi. Ecco perché Nadeem James, dopo la denuncia, pensa bene di darsi alla fuga; ma non ha fatto i conti con la contromossa della polizia, che decide allora di trattenere le sue due sorelle, senza risparmiargli dei maltrattamenti, nella speranza di convincerle a rivelare dove Nadeem si sia nascosto. Adesso, però, la sentenza del tribunale e le 28 pagine di motivazioni costituiscono per Nadeen James un vicolo cieco. Difficilmente riuscirà a venirne fuori, per quanto, come riporta l’agenzia Fides, il suo legale Riaz Anjum, abbia già annunciato che faranno appello a un tribunale superiore. Servirà a qualcosa?



LA SITUAZIONE IN PAKISTAN

Quello di Nadeem, del resto, non è il primo e non sarà l’ultimo caso di cristiano perseguitato in terra musulmana. Sempre in Pakistan, come riporta Fides, Asif Masih, 18 anni, del villaggio di Jam Kayk Chattha, dei pressi di Wazirabad, città nel centro del Punjab, è stato accusato di aver bruciato pagine del Corano e arrestato. Alla notizia si è radunata ad attenderlo fuori dalla stazione di polizia una folla di circa 200 persone che si scalmanava chiedendo a gran voce l’esecuzione della pena capitale. A chiarire come l’accusa di blasfemia nel Paese sia una piaga e un pericolo da scansare per tutti i non musulmani, arrivano anche i dati dell’Ong “Commissione per i Diritti Umani del Pakistan”, secondo cui attualmente 40 persone sono nel braccio della morte, detenute nelle prigioni pachistane, dopo una condanna alla pena capitale per avere commesso il reato in questione. I gruppi o gli individui radicali islamici che hanno ucciso in modo extragiudiziale per presunta blasfemia negli ultimi 27 anni hanno giustiziato finora (ufficialmente) 71 persone. 

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