Nelle ultime ore si è improvvisamente riaccesa la polemica attorno alle famigerate PFAS (acidi perfluoroalchilici), con la Regione Veneto che, nella persona del Governatore Luca Zaia, ha intenzione di agire autonomamente di fronte a quella che, a suo dire, è l’immobilità del Governo nell’arginare una piaga che rischia di avere effetti devastanti sull’ambiente e sulla salute delle persone. Diffusi e utilizzati sin dagli anni Cinquanta in ambito industriale (soprattutto per fabbricare pellicole antiaderenti, ma anche nella ceratura dei giacconi e nella realizzazione di involucri per smartphone), questi composti chimici sono infatti responsabili di una delle più gravi contaminazioni ambientali degli ultimi quarant’anni, vale a dire quella delle falde acquifere venete: inoltre, stando ad alcuni dati forniti dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) relativi agli ultimi 4 anni, l’utilizzo scriteriato di questi impermeabilizzanti e l’inquinamento da loro provocato ha causato situazioni di grave criticità anche in alcuni bacini e sottoscarichi di Lombardia, Piemonte e persino Toscana. Anche per questo motivo, Zaia ha annunciato che varerà una legge in piena autonomia, ricevendo anche l’appoggio di Greenpeace.



VELENI CHIMICI NELLE ANALISI DEL SANGUE

Il governatore leghista, dopo aver preso atto della decisione del Ministero della Salute di non procedere all’emanazione di una direttiva nazionale dato che il problema sarebbe “limitato solo alle province venete”, ha sbottato annunciando che “nel Veneto ci arrangeremo” e poi ha anche confermato l’intenzione di “procedere a una drastica riduzione per legge dei limiti delle PFAS nelle reti idriche della regione”. Se confermata, si tratterebbe di una decisione inedita almeno per l’Italia, dato che all’estero si è già proceduto a definire dei livelli-soglia, come quelli in vigore in Svezia. A determinare questo giro di vite è stata anche la pubblicazione dei risultati dei controlli clinici dei figli di quelle che sono già state ribattezzate “le mamme delle PFAS” del vicentino, nei quali sono state rilevate tracce consistenti di questi veleni chimici (anche fino a 300 nanogrammi per grammo, contro i 3 grammi che rappresentano il valore normale). Come è noto, le PFAS si accumulano nei bacini e i corsi d’acqua, ma possono arrivare all’uomo anche tramite altri organismi e gli alimenti. Inoltre, è notizia proprio di questi giorni che la Regione ha offerto a tutti gli adolescenti che presentano valori di acido floridico “oltre i valori accettabili” di sottoporsi a una rivoluzionaria pulizia del sangue alla quale hanno già aderito diverse famiglie.



NEL MIRINO LA MITENI SPA DI TRISSINO

Ad ogni modo, la gravità della situazione delle falde acquifere del Veneto (e in particolare nei comuni di Lonigo e Trissino, dove sono presenti gli stabilimenti della Miteni Spa, principale indiziata di un inquinamento che va avanti da anni) è dovuta anche al fatto che non sono mai stati determinati dei livelli-soglia e che, nonostante le accuse, l’azienda chimica che fa capo alla multinazionale tedesca International Chemical Investors si è sempre difesa, dichiarando di aver fornito rilevazioni “trasparenti” sui terreni circostanti. Eppure una recente relazione presentata dal Nucleo Operativo Ecologico (NOE) dei Carabinieri di Treviso e consegnata allo stesso dicastero dell’Ambiente sembra inchiodare la Miteni alle sue responsabilità, dopo 27 anni ininterrotti di fuoriuscite di sostanze chimiche dallo stabilimento di Trissino e che metterebbe in pericolo quasi 130mila persone residenti non solo nella provincia di Vicenza. Va infatti ricordato che tra le patologie che possono essere indotte da alti livelli delle PFAS nel sangue ci sono tumori a reni e testicoli, oltre che alla tiroide, ma anche valori di colesterolo fuori norma, ipertensione, rare forme di coliti ulcerose e problemi gestazionali nelle donne.

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