Un nuovo scandalo destinato a travolgere molti Atenei italiani è appena esploso in seguito alle 29 misure cautelari eseguite questa mattina dalla Procura di Firenze a carico di altrettanti docenti universitari. Sette professori di diritto tributario sono finiti agli arresti domiciliari, mentre i restanti sono stati interdetti per 12 mesi dall’attività. Ne dà notizia oggi il quotidiano Repubblica, che evidenzia come tra i docenti coinvolti ci sarebbero anche componenti delle commissioni ministeriali nominate dal Miur in riferimento ai concorsi. Le accuse a loro carico sarebbero per reati corruttivi nell’ambito di un’inchiesta su concorsi truccati e riguarderebbe l’intero territorio nazionale. In tutto sarebbero stati iscritti 59 nomi nel registro degli indagati per i reati di corruzione. Ad essere coinvolto nelle indagini ci sarebbe anche l’ex ministro Augusto Fantozzi. Quella avviata dalla Guardia di Finanza di Firenze si è così rivelata una maxi operazione nell’ambito della quale sono state eseguite oltre 150 perquisizioni domiciliari presso uffici pubblici, abitazioni private e studi professionali. Per i 7 docenti universitari ai domiciliari, il gip Angelo Antonio Pezzuti si è riservato di valutare altre misure cautelari in base all’esito degli interrogatori degli stessi.
LA DENUNCIA DI UN RICERCATORE
L’operazione messa in atto è stata denominata “Chiamata alle armi” e prende il via, come spiega Corriere.it, dal tentativo di alcuni professori universitari di indurre un ricercatore, candidato al concorso per l’abilitazione scientifica nazionale all’insegnamento in diritto tributario a ritirare la propria domanda, favorendo così un terzo soggetto il cui curriculum era decisamente inferiore al suo. Per convincere il candidato, la promessa da parte dei docenti che si sarebbero adoperati a fargli ottenere l’abilitazione nella tornata successiva. Le indagini hanno così portato a far emergere “sistematici accordi corruttivi tra numerosi professori di diritto tributario” (tra cui pubblici ufficiali), al fine di “rilasciare le abilitazioni all’insegnamento secondo logiche di spartizione territoriale e di reciproci scambi di favori” per soddisfare “interessi personali, professionali o associativi”. La denuncia che ha poi dato il via all’intera inchiesta sarebbe partita dunque proprio dal ricercatore.