Amoris tristitia. Tutto meno l’amore pare ci debba essere nelle coppie scoppiate, che provano a rifarsi una vita senza doversi allontanare dalla grazia sacramentale che la Chiesa amministra nell’Eucarestia, secondo i firmatari delle accuse di eresia a Francesco sulle aperture ai divorziati risposati. Tutto può esserci: eroismo sacrificale agli obblighi di un legame sacramentale naufragato senza colpa soggettiva, rinuncia a rinascere nell’amore con un’altra persona, magari per dare una figura genitoriale necessaria ai propri figli, sopportazione di scene di vita che la realtà spesso fa emergere alle cronache penali, astinenza dalla sessualità per il venir meno dell’unico fornitore canonicamente legittimo, ancorché magari sia fuggito con la segretaria ventenne (come se la prima domanda di Pietro alle porte del Paradiso sarà quella un po’ lubrica di “quante volte figliolo?”…), richiesta ossessiva della “grazia” di un ritorno dell’amato bene che potrebbe ben essere una tentazione alla volontà del Signore. Tutto. Meno che l’amore. La determinazione sincera a fare meglio come uomini e donne, padri e madri, nell’amore di Cristo, sostenuti dalla Chiesa, madre rigorosa ma non sorda al dolore dei suoi figli. 



Insomma un banale, persino volgare, scambio della “misericordia” del magistero dell’Amoris laetitia di Francesco con “lassismo” modernista e criptoluterano (volgare perché, al di là del fatto che in questa polemica sono tirati in ballo come cavoli a merenda, solo l’assenza di senso storico può ritenere che modernismo e luteranesimo non siano stati fenomeni importanti della “vita” della Chiesa, e in quanto tali possano custodire riserve di senso non esaurite per la stessa “ortodossia” cattolica). Da chi voleva criticare Francesco, ci si poteva attendere un impegno teologico e argomentativo più solido di una “correzione filiale” infelice persino nella dizione, che troppo ricorda il lessico delle banche e delle cassette di sicurezza delle proprie certezze teologiche e morali.



Il magistero di Francesco, ammettendo o spingendo ad ammettere ai sacramenti i divorziati risposati, dopo un vaglio discrezionale del confessore, sarebbe, agli occhi del documento correzionale, eresia modernista, perché la verità rivelata non cambia, non è aggiornabile al modus hodiernus, al giorno d’oggi. Detta così, pare una dottrina che richiama troppo una certa impraticabilità ermeneutica di testi rivelati di altre religioni, e che getta alle ortiche un plurisecolare dibattito sull’essenza storica del cristianesimo, e insieme assegna il diritto canonico del matrimonio cattolico al rango delle verità rivelate, facendone un po’ troppo in fretta un motivo di esclusione dal sacramento dell’Eucarestia. 



Pur senza essere teologo e canonista, mi riesce difficile immaginare che all’ultima cena, in cui si istituisce il sacramento dell’eucarestia, fossero presenti coniugi sposati secondo il diritto canonico, abbastanza successivo, invocato dalla correzione filiale. Quindi almeno un po’ di evoluzione storica nel regime sacramentale, a naso, dovrebbe esserci stata. 

Ma è soprattutto la prima accusa di eresia delle sette filialmente avanzate — da cui le altre sostanzialmente discendono, che mi sembra far acqua da tutte le parti. Recita così: “1. Una persona giustificata non ha la forza con la grazia di Dio di adempiere i comandamenti oggettivi della legge divina, come se alcuni dei comandamenti fossero impossibili da osservare per colui che è giustificato; o come se la grazia di Dio, producendo la giustificazione in un individuo, non producesse invariabilmente e di sua natura la conversione da ogni peccato grave, o che non fosse sufficiente alla conversione da ogni peccato grave. Questo sarebbe il capitale errore dottrinale di Francesco.

Non m’impegno su come stiano teologicamente effettivamente le cose con la dottrina invocata contro Francesco, e cioè che con la grazia di Dio (giustificati) si sia capaci di tutto, e concedo che sia del tutto così, giacché i santi ce ne hanno dato prova. Però, detta così, è una tautologia teologica, quanto al caso su cui Francesco prova a intervenire. Perché se alla fine il matrimonio non regge, un logico laico potrebbe credere che questo vuol dire che è venuta meno l’efficacia agente della Grazia, anche se al malcapitato non sia mai venuto in mente di rifiutarla o di non chiederla per anni ardentemente. Il che, ancora, vuol dire che alla fine l’imputato non dovrebbe essere il coniuge che non ha avuto la forza di restare ligio alle richieste “canoniche” del sacramento, ma lo Spirito Santo per insufficienza di efficacia agente della Grazia, che è nella sua disponibilità e non nella capacità di esigerla del richiedente. 

Non mi ricordo basti volere la Grazia per averla. Se poi è cambiata la dottrina, ed è solo un fatto di volontà di obbedienza che viene meno, di rifiuto consapevole di un bene sacramentale offerto, un “delinquere” che ci pone in peccato mortale, allora gradirei di essere informato.

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