Giovedì arriva in Aula alla Camera dei deputati il testo base sulla cannabis. Riguarda esclusivamente il suo uso terapeutico, essendo stata stralciata la parte sulla legalizzazione e sulla conseguente liberalizzazione. Per molti colleghi, delusi dall’attuale scelta limitativa del Parlamento, soprattutto tra i moltissimi che fanno parte dell’intergruppo parlamentare sulla cannabis legale, si tratta solo di una prima approvazione a cui seguirà certamente un secondo step, probabilmente nella prossima legislatura, che decreterà la piena legalizzazione della cannabis.
Di fatto l’uso terapeutico era già regolamentato da un decreto del 2007 del ministro della Salute Livia Turco, riconfermato nel 2015 da Beatrice Lorenzin. L’approvazione di una legge di iniziativa parlamentare darà però un maggior peso all’uso terapeutico della cannabis, che crea ancora una serie di perplessità tra gli operatori sanitari e perfino nel mondo scientifico. Dopo l’approvazione del decreto del 2007 molte Regioni hanno introdotto leggi regionali per porre il farmaco a base di cannabis a carico del servizio sanitario regionale.
L’uso medico della cannabis ha una storia molto antica, condivisa da popolazioni diverse in continenti e latitudini diverse. Non a caso nella cannabis sono state identificate oltre 750 principi attivi, di cui 113 con struttura analoga ai principali cannabinoidi, ma alcuni di loro paradossalmente hanno effetti contrapposti. La concentrazione e la distribuzione dei principi attivi può variare sensibilmente nelle diverse forme di cannabis vegetale, in funzione del profilo genetico della pianta e delle condizioni ambientali in cui cresce e si sviluppa la pianta. Nell’uso medico viene chiamata cannabis la pianta della canapa con contenuto di tetraidrocannabinolo superiore allo 0,2%. Il consumo di cannabis per consumo ricreativo avviene spesso attraverso l’inalazione delle inflorescenze essiccate della pianta, mentre per l’uso terapeutico si utilizzano estratti dalla pianta, con cui è possibile eseguire analisi qualitative sui principi attivi contenuti e loro relativi dosaggi. Impieghi della cannabis ad uso medico sono presenti in studi clinici controllati e studi osservazionali, nelle revisioni sistematiche e nelle metanalisi della letteratura internazionale indicizzata. Ma è bene sottolineare che i risultati di questi studi non si possono considerare conclusivi sull’efficacia del suo uso terapeutico. In molti casi le evidenze scientifiche sono di modesta qualità, i risultati sono contraddittori e mancano dati a supporto di un favorevole rapporto rischio/beneficio per la cannabis. Il che rende comunque necessario proseguire nell’attività di ricerca per ottenere evidenze scientifiche che abbiano un carattere più chiaro e sicuro sugli effetti.
Restrizioni e controlli sull’uso della cannabis, previsti da convenzioni internazionali, sono stati un grande ostacolo alla ricerca per lo sviluppo di un utilizzo terapeutico della cannabis in tutti i paesi che hanno ratificato la convenzione delle Nazioni Unite, tra questi anche l’Italia. La convenzione prevede che gli stati che consentano la produzione o l’uso della cannabis per la ricerca scientifica o per l’uso medicale devono operare con un sistema di licenza per tutti i coltivatori, i produttori e i distributori e garantire che il mercato totale della cannabis dello Stato non superi quello richiesto “a fini medici e scientifici”.
La nuova legge sulla cannabis terapeutica, in Aula dal prossimo giovedì, chiarisce nell’articolo 1 le finalità del provvedimento: regolamentare l’uso dei medicinali a base di cannabis, garantendo l’equità di accesso da parte di tutti i pazienti, stabilendo criteri uniformi sul territorio nazionale; promuovere la ricerca scientifica; sviluppare tecniche di produzione e trasformazione della cannabis e semplificare le modalità di assunzione dei medicinali a base di cannabis. Nell’articolo 2, definisce in cosa consista l’uso terapeutico: “assunzione di medicinali a base di cannabis che il medico curante prescrive dopo aver fatto una valutazione del paziente e aver posto una diagnosi, per un’eventuale opportuna terapia”. L’articolo 3 disciplina le modalità di prescrizione, spiegando che il medico potrà prescrivere preparazioni magistrali a base di cannabis a carico del Servizio sanitario nazionale. L’articolo 4 affronta il tema del monitoraggio delle prescrizioni. L’articolo 5 chiarisce il ruolo delle regioni in merito alla programmazione della produzione nazionale da parte dello Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze. Sulla base dell’effettivo bisogno, come stabilito dall’articolo 6, lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze provvederà alla coltivazione e alla trasformazione della cannabis in sostanze e preparazioni vegetali per la successiva distribuzione alle farmacie, al fine di soddisfare il fabbisogno nazionale di tali preparazioni e per la conduzione di studi clinici. Qualora risulti necessaria la coltivazione di ulteriori quote di cannabis oltre quelle coltivate dallo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze, possono essere individuate altre strutture ritenute idonee, da autorizzare alla coltivazione. L’articolo 7 spiega che il ministero della Salute, attraverso l’Organismo statale per la cannabis, pubblicherà sul suo portale i contributi inviati con cadenza semestrale dall’Agenzia italiana del farmaco e dall’Istituto superiore di sanità sullo stato dell’arte delle evidenze scientifiche in materia di uso medico della cannabis. L’articolo 8 affronta il tema della ricerca. L’articolo 9 elenca le modifiche che verranno apportate al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309. Infine, l’articolo 10 disciplina il trattamento fiscale.
Si tratta di una legge che in un certo senso soddisfa molti bisogni dei pazienti e facilita la prescrizione della cannabis terapeutica da parte dei medici, ma che presenta già da ora alcune criticità che vale la pena segnalare con chiarezza.
Emendamenti da me presentati in tal senso in commissione sono stati tutti bocciati, preferendo dare a questa legge un’immagine di strumento normativo a rischio zero. Cosa che non è affatto e che è doveroso almeno segnalare. Uno di questi emendamenti richiedeva che si dicesse esplicitamente che questa legge non prevedeva nessuna forma di legalizzazione della coltivazione, della lavorazione e della vendita della cannabis al di fuori dell’uso medico sancito dalla legge. Si voleva impegnare il Parlamento a non consentire successive interpretazioni della norma in chiave diversa da quella terapeutica. Apparentemente pleonastico, l’emendamento in realtà rappresentava una risposta netta ai molti rumors che considerano questa legge una sorta di cavallo di Troia, un escamotage volto a creare il piano inclinato su cui si sarebbe appoggiato presto un ampliamento della norma fino alla piena legalizzazione della cannabis.
Un ulteriore emendamento, bocciato anche lui, vincolava la prescrizione della cannabis a medici specialisti, in grado di valutare, sulla base della patologia specifica, le effettive necessità del paziente, evitando prescrizioni improprie, tutt’altro che infrequenti. Bocciati anche tutti gli emendamenti che facevano riferimento al rischio, del tutto probabile, che un’assunzione prolungata della cannabis potrebbe creare dipendenza nel paziente, aggiungendo patologia a patologia. Bocciati anche gli emendamenti con cui si intendeva rafforzare il potere di controllo dell’Istituto farmacologico di Firenze per evitare che si producesse più cannabis di quella necessaria, con l’evidente rischio di una sua dispersione per canali diversi da quello terapeutico. Bocciati anche emendamenti all’articolo 7 con cui si chiedeva di garantire un’informazione che non si limitasse ad offrire i dati scientifici in forma asettica, ma che si assumesse anche la responsabilità di illustrare le conseguenze che l’uso protratto della cannabis potrebbero creare. E infine, parlando di ricerca, si chiedeva di avviare anche studi osservazionali di lungo periodo per evidenziare eventuali cambiamenti di condotta nei soggetti che assumono cannabis nel medio-lungo periodo.
In realtà in Commissione è prevalsa una visione della droga come farmaco privo di effetti collaterali, prescrivibile da chiunque, a prescindere dalla specificità della patologia in questione, con un’ampia disponibilità sul territorio, garantita da una molteplicità di soggetti impegnati nella produzione. Evidentemente si prevede un’informazione volta a cancellare pregiudizi e ostilità sull’uso delle droghe, e quindi orientata ad esaltare la qualità del farmaco e la sua innocuità. Una sorta di mistificazione buonista che apre le porta a molti più rischi di quanto non appaia ad un primo sguardo. E su questo intendiamo richiamare l’attenzione delle persone, soprattutto di quelle che conservano ancora una buona dose di perplessità e che sono circa il 60 per cento. E’ a loro che la campagna di informazione, una sorta di vera e propria propaganda, si rivolgerà nei prossimi mesi.