Nell’udienza generale del mercoledì, Papa Francesco ha tuonato contro i possibili mali più infidi per i nostri giovani al giorno d’oggi: mali di cui nessuno o quasi parla, mali che vengono messi in secondo piano perché ritenuti scontati ed evitabili e che poi così “semplici” in realtà non sono. Prima di tutto l’accidia: sì, quel peccato capitale che durante il catechismo faceva risuonare le ironie dei giovanissimi perché non comprendevano di che diavolo si parlava. Proprio l’accidia è il punto di partenza del Pontefice davanti ad una platea molto giovane; «Bisogna fare attenzione a “quel ‘demone del mezzogiorno’ che va a sfiancare una vita di impegno, proprio mentre arde in alto il sole. Questa tentazione ci sorprende quando meno ce lo aspettiamo: le giornate diventano monotone e noiose, più nessun valore sembra meritevole di fatica. È l’accidia». Il monito lanciato in Piazza San Pietro nell’Udienza Generale è di quelli che fanno riflettere, perché si rivolge tanto ai giovani quanto ad ognuno di noi: quel normale e comprensibile tentativo di evitare la “fatica” nelle giornate non può essere messo condanna, è umanissimo. Ma rimanere “incastrati” dentro all’ideologia del “tutto subito e senza sacrificio” rischia di generare danni ingentissimi: «anche la speranza, come ogni bene in questo mondo, ha dei nemici. A volte – ha detto Bergoglio – aver avuto tutto dalla vita è una sfortuna. Pensate a un giovane a cui non è stata insegnata la virtù dell’attesa e della pazienza, che non ha dovuto sudare per nulla, che ha bruciato le tappe e a vent’anni ‘sa già come va il mondo’; è stato destinato alla peggior condanna: quella di non desiderare più nulla. Sembra un giovane, invece è già calato l’autunno sul suo cuore. Sono i giovani d’autunno».
IL PAPA CITA PEGUY, “DIO SI MERAVIGLIA PER LA SPERANZA”
L’elogio della speranza che dai giovani arriva fino ai migranti, dai ricchi fino ai poveri, dall’uomo fino alla donna: la speranza è vitale nell’esistenza di ogni singola persona, proprio come spiegava il grande poeta francese Charles Peguy, citato da Francesco a corollario della sua udienza. «Dio non si stupisce tanto per la fede degli esseri umani, e nemmeno per la loro carità; ma ciò che veramente lo riempie di meraviglia e commozione è la speranza: che quei poveri figli vedano come vanno le cose e che credano che andrà meglio domattina»: secondo Francesco, queste parole di Peguy esprimono perfettamente cosa alberga nel cuore di chi fugge dalla guerra per raggiungere un luogo di pace. «Richiama i volti di tanta gente che è transitata per questo mondo, contadini, poveri operai, migranti in cerca di un futuro migliore, che ha lottato tenacemente nonostante l’amarezza di un oggi difficile, colmo di tante prove, animata però dalla fiducia che i figli avrebbero avuto una vita più giusta e più serena”. “Lottavano per i figli!»: ovviamente i media internazionali e italiani si sono soffermati solo sul tema dei migranti, non tanto per interessi umanitari di qualsivoglia modalità, ma per marcare la spinta sul “caso mediatico” di questi tempi. Ma in profondità non ci va (quasi) mai nessuno: «I poveri – ha continuato Papa Francesco – sono i primi portatori della speranza. Invece avere un’anima vuota è il peggior ostacolo alla speranza, è un rischio da cui nessuno può dirsi escluso, perché di essere tentati contro la speranza può capitare anche quando si percorre il cammino della vita cristiana».
DAL “DEMONE” ALLA SPERANZA DI CRISTO
Un “demone del mezzogiorno” che erode ogni piccola ma esistente espressione di speranza: il rischio denunciato dal Papa e rivolto a tutti, giovani e non, è purtroppo tanto attuale quanto molto poco “mediatico”. Il consiglio della Chiesa è tanto semplice quanto richiede una dose non indifferente di libertà nel esprimere tutto il proprio disagio e mancanze: «Quando questo capita, il cristiano sa che quella condizione deve essere combattuta, mai accettata supinamente. Dio ci ha creati per la gioia e per la felicità, e non per crogiolarci in pensieri malinconici. […] laddove le nostre forze apparissero fiacche e la battaglia contro l’angoscia particolarmente dura: possiamo sempre ricorrere al nome di Gesù. Possiamo ripetere quella preghiera semplice, di cui troviamo traccia anche nei Vangeli e che è diventata il cardine di tante tradizioni spirituali cristiane: ‘Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivo, abbi pietà di me peccatore!». Affidarsi a Colui che può spalancare le porte dell’ansia e della fatica è l’unico elemento in grado di poter aprire, per davvero, l’orizzonte della propria piccola speranza. «Non siamo soli a combattere contro la disperazione. Se Gesù ha vinto il mondo, è capace di vincere in noi tutto ciò che si oppone al bene. Se Dio è con noi, nessuno ci ruberà la speranza».