Il Piano nazionale per l’integrazione dei rifugiati varato in questi giorni dal Viminale prevede che quasi 75mila immigrati abbiano diritto ad alloggi, assistenza sanitaria, scuola. Si tratta di coloro che hanno già ottenuto l’approvazione della richiesta di asilo e anche la cosiddetta protezione internazionale. Ne restano fuori altri 196mila che sono ancora in attesa di completare l’iter. Per i primi invece sarà necessario sottoscrivere una sorta di patto con l’Italia, in cui riconoscano e accettino leggi e cultura del paese che li ospita, ad esempio i diritti delle donne così poco rispettati da molti islamici. Per il professor Gian Carlo Blangiardo, intervistato da ilsussidiario.net, “è certamente un buon piano che dà una risposta al bisogno di integrazione di tanti stranieri”. C’è però, aggiunge, “il rischio che molti italiani, soprattutto quelli che godono di condizioni di vita meno favorevoli, scambino questa iniziativa come un superamento delle loro aspettative. Insomma, c’è il rischio di una guerra tra poveri”.
Professore, che ne pensa di questo piano, è una risposta valida alla necessità di integrazione degli stranieri in Italia?
Direi che pensare di intervenire dando maggiori stabilità, garanzie, prospettive di integrazione sembra un modo ragionevole per portare avanti una politica di integrazione. Direi che l’idea sta in piedi.
Sembra di capire che però lei sottintenda che l’idea è buona, ma la realtà poi non sarà altrettanto, è così?
Il problema è capire quali saranno le conseguenze in termini di relazione con la popolazione locale. Il rischio che vedo, nonostante questo piano sia legittimo, è quello di una sorta di guerra tra poveri.
Cioè?
Prendiamo il caso di un italiano in lista di attesa per un alloggio a prezzo calmierato. E’ facile che dica: io sono in lista e adesso si aggiungono anche questi. In Italia siamo in presenza di risorse scarse, la condivisione di queste risorse tra chi è più povero potrebbe scatenare appunto una guerra tra poveri.
Però il piano è finanziato con cento milioni di euro dell’Unione europea, non con soldi nostri.
Certo, dal punto di vista di chi governa c’è una razionalità, cioè “noi non togliamo nulla agli italiani”, ma dal punto di vista della popolazione è diverso. Gli italiani più poveri questo non lo capiranno e facilmente lo leggeranno come una prevaricazione: si favoriscono loro a danno nostro. Ovviamente poi ci sarà qualcuno che a livello politico cavalcherà questo malcontento.
Il piano prevede anche un Patto con l’islam, che ne pensa?
Anche qui vedo una divaricazione tra idea e realtà. Certo, se tu mi dai una casa e l’assistenza sanitaria io ti firmo qualunque cosa, anche se vengo da una cultura che ad esempio non prevede la parità tra uomini e donne. Persone che si portano dietro questo tipo di background culturale per firmare firmano, poi è tutta da vedere la condotta effettiva che metteranno in pratica.
Sembra scettico, è così?
Non basta firmare un patto, perché il rischio è che ognuno lo realizza poi come vuole.
Occorre un lavoro dal basso, culturale, sociale, di incontro fra le persone, è d’accordo?
L”integrazione è sempre, anche secondo la definizione data dal papa, un processo bilaterale. L’immigrato ci deve mettere del suo obbedendo alle leggi e alla cultura del paese che lo ha accolto, dall’altra parte ci deve essere una popolazione che dà una mano. Un’operazione che deve avvenire in contemporanea sul fronte della popolazione locale è però una cosa assai complicata. Si tratta di convincere la controparte, cioè gli italiani, che l’integrazione è una scelta utile e intelligente perché funzionale agli equilibri del sistema.