Cemento prodotto da scarti tossici e ceneri pericolose: questo il sospetto da cui è partita un’inchiesta della Dda di Lecce. Nel mirino la centrale Enel Federico II di Cerano, a Brindisi, lo stabilimento di Taranto “Cementir Italia spa” e i parchi “loppa d’altoforno, nastri trasportatori e tramogge” di quest’ultima fabbrica e dell’Ilva di Taranto. La Guardia di Finanza, come riportato da SkyTg24, ha sequestrato preventivamente queste strutture, mentre nel registro degli indagati sono finite 31 persone. La qualità del tipo di ceneri vendute da Ilva alla Cementir di Taranto per produrre cemento non è risultata in linea con le norme di legge, mentre le ceneri vendute dalla centrale Enel di Brindisi erano da considerarsi pericolose, non classificate come rifiuto semplice. I finanziari hanno sequestrato 523 milioni e 326mila euro, l’equivalente dell’ingiusto profitto che avrebbe ricavato dal settembre 2011 al settembre 2016. Il sequestro dei beni riguarda saldi attivi di conti correnti, quote e/o partecipazioni azionarie, depositi, titoli, crediti, immobili e beni mobili registrati.



PROCURATORE: “NESSUN PROBLEMA SALUTE PUBBLICA”

Sono 31 gli indagati nel caso del “cemento tossico” e sono tutti appartenenti alle tre aziende coinvolte: Enel di Brindisi, Cementir e Ilva di Taranto. L’accusa è di traffico illecito di rifiuti e attività di gestione di rifiuti non autorizzate, stando a quanto riferito da SkyTg24. Il gip ha anche disposto per le tre aziende la facoltà d’uso provvisoria degli impianti sequestrati, per un massimo di 60 giorni, subordinata ad alcune prescrizioni. Il procuratore della Repubblica di Lecce, Leonardo Leone De Castris, ha spiegato che dalla prima ricostruzione e dalle intercettazioni è emerso che «i dirigenti Enel sapevano della circostanza» che le ceneri inviate alla Cementir per la produzione del cemento non erano in regalo. Ora scattano anche le indagini di Arpa e ministero della Salute, ma per De Castris, «non ci sono problemi per la salute pubblica». Intanto Enel ha replicato con una nota, affermando che «l’azienda confida che nel corso delle indagini potrà dimostrare la correttezza dei propri processi produttivi» e dicendosi disposta a collaborare con gli inquirenti.

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