Dopo 23 anni di latitanza, l’impero della cocaina di Rocco Morabito è ormai più che capillare. Anzi, la situazione secondo le indagini portati avanti dal giorno del 1994 in cui fece perdere le sue tracce, parlano di tonnellate e tonnellate di cocaina smerciate da quello che era uno dei latitanti italiani più ricercati, che ormai aveva istituito una rete molto capillare in Sudamerica, riuscendo a trattare con i Cartelli direttamente dall’albergo di Montevideo nel quale si nascondeva. Morabito era perfettamente organizzato e in grado di agire anche dal suo “buen retiro”, e già prima della latitanza aveva cercato di importare in Italia una tonnellata e mezzo di cocaina, quantità enormi che dimostrano come i tentacoli della ndrangheta fossero ormai ben piantati in Sudamerica. Morabito torna in Italia per scontare quattro condanne già ricevute e dovrà restare in carcere per almeno trenta anni. (agg. di Fabio Belli)



LA SODDISFAZIONE DELLA COMMISSIONE ANTI-NDRANGHETA

Il presidente della Commissione regionale calabrese contro la ndrangheta, Arturo Bova, ha commentato la notizia dell’arresto di Rocco Morabito ad opera dell’Interpol, complimentandosi con le forze dell’ordine per l’azione investigativa. «Ha vissuto per oltre due decenni lontano dall’Italia tenendo i fili con il suo paese d’origine, Africo Nuovo, ed organizzando nel sud America per conto delle cosche di ndrangheta della Calabria il flusso di imponenti quantitativi di cocaina verso l’Europa», ha dichiarato in una nota. Per Bova il traffico di cocaina è uno dei canali più redditizi per finanziare la ndrangheta, confermando così l’analisi del Capo della Procura della Repubblica di Catanzaro, «uno dei primi magistrati italiani a capire fino in fondo il nesso tra il monopolio del traffico di cocaina che la ndrangheta detiene inconfutabilmente, e i canali di riciclaggio che ne seguono in ogni parte del mondo». (agg. di Silvana Palazzo)



UNA LATITANZA D’ORO PER TAMUNGA

Rocco Morabito, ‘u Tamunga, quando è stato trovato aveva con sé una pistola, due auto, 13 cellulari e una dozzina di carte di credito. Insomma, non ha mai interrotto il suo traffico di cocaina tra Sudamerica e Italia. Si tratta di un boss atipico, perché non si è mai preoccupato della sua vita sfarzosa, restando sempre elegante. La latitanza è cominciata a causa dell’inchiesta del 1994, quando era l’uomo di fiducia dello zio Domenico Antonio Mollica. Agenti sotto copertura lo incastrano mentre paga droga per 13 miliardi di vecchie lire e ne importa quasi una tonnellata. Sfuggito all’arresto, era diventato un fantasma. Latitante per 23 anni, due anni fa è apparso nell’elenco delle 30 primule rosse del Viminale. Le ultime indagini lo collocavano in Sudamerica, dove si è mosso con documenti brasiliani. In alcune recenti intercettazioni gli inquirenti avevano sospettato di aver captato la sua voce. Ora lo hanno preso, quindi dovrà scontare 30 anni di carcere. (agg. di Silvana Palazzo)



CATTURATO IN URUGUAY DOPO 23 ANNI DI FUGA

Il nome di Rocco Morabito, oltre a rientrare nell’elenco dei massimi esponenti della ‘ndrangheta calabrese, per lunghi anni è stato presente anche nella lista dei ricercati più pericolosi. A fargli buona compagnia vi erano il leader di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, il camorrista Marco Di Lauro, Giovanni Motisi e ad Attilio Cubeddu. Un record, il suo, lungo 23 anni, ovvero la durata della sua fuga terminata nelle passate ore con la cattura in Uruguay. Ad annunciarlo con un tweet è stato il Viminale, preceduto da un messaggio del ministero dell’Interno di Montevideo, sempre via social. Morabito è stato catturato dagli agenti della polizia locale mentre si trovava in un hotel della Capitale uruguayana. E’ stata poi eseguita una perquisizione nell’abitazione in cui risulta vivesse il boss superlatitante. Si tratta di una lussuosa villa con piscina nella quale sono state rinvenute e sottoposte a sequestro ben 12 carte di credito, assegni e denaro in contanti nonché oltre 13 cellulari, armi e una Mercedes. Finisce così, dopo quasi un quarto di secolo la latitanza di Rocco Morabito.

LA FALSA IDENTITÀ

Nonostante avesse assunto una falsa identità facendosi chiamare Francesco Antonio Capeletto Souza, Rocco Morabito non è riuscito a farla franca. Il boss, che il prossimo mese compirà 51 anni, ha esibito un passaporto brasiliano ma questo non gli ha evitato la cattura. L’uomo pare vivesse in Uruguay da almeno un decennio. Sono serviti sei lunghi e fitti mesi di indagine per portare gli inquirenti di Montevideo sulle sue tracce e consentirne la cattura. Oltre a Morabito è stata arrestata anche la moglie, una 54enne di origini angolane ma con passaporto portoghese. Come annunciato dal governo locale, Morabito sarà presto estradato in Italia. L’uomo, ricordiamolo, oltre ad essere considerato uno dei massimi esponenti della omonima cosca, è accusato di associazione di tipo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti ed altri gravi reati. La sua pena definitiva è pari a 30 anni di reclusione. Ma il boss dovrà rispondere anche di un’altra grave accusa relativa al traffico di droga dal Sudamerica a Milano. Dal 1994 era ricercato in ambito internazionale e inserito nell’elenco dei latitanti più pericolosi. Dopo la sua cattura non è mancato il commento di soddisfazione del ministro dell’Interno, Marco Minniti, che ha ringraziato Capo della Polizia, Franco Gabrielli, e il Comandante Generale dell’Arma dei Carabinieri, Tullio Del Sette.