Nell’affrontare in sede divulgativa il fenomeno della siccità sul nostro Pianeta ed in particolare in Italia, è opportuno lasciare da parte le informazioni di carattere allarmistico prodotte, in generale, dai media, non perché non siano attendibili nei fatti in sé, ma in quanto prive di nozioni scientifiche di base. Come sempre, il problema di fondo è la modalità con la quale ci si approccia alle questioni ambientali che, di volta in volta, appaiono o sono catastrofiche per gli effetti devastanti che possono determinare.



Da almeno cinquant’anni il mondo scientifico internazionale ha sollevato problematiche sempre più analitiche in merito alle emergenze di carattere planetario, allo sviluppo sostenibile, alla crescita demografica, all’andamento delle risorse rinnovabili e non.

Non si può dimenticare il famoso volume del 1971 intitolato I limiti dello sviluppo di Donella Meadows, edito dal Club di Roma, per proseguire con una serie di pubblicazioni scritte da autorevoli scienziati, nelle quali l’apprensione fondamentale è costituita dal bisogno di “salvare il pianeta” dai cambiamenti climatici, dalla siccità e dalla desertificazione, dalla perdita di biodiversità.



Realtà scientifiche differenti, guidate spesso o quasi sempre da inneschi politici di parte, hanno dimostrato la convenienza degli studiosi ad adeguarsi ai finanziatori per sostenere la propria attività di ricerca, adattando le conclusioni alla sensibilità politica del momento.

Il caso più eclatante è fornito dal IV Rapporto dell’Ipcc (Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici) del 2007, insignito del Premio Nobel per la pace, ma dove la violazione dei data base da parte di una serie di hacker ha messo in luce che i dati forniti al mondo scientifico erano stati decisamente alterati.



Siamo così passati attraverso innumerevoli e fantasiosi annunci di catastrofi imminenti, più o meno verificatesi nel tempo, annaspando tra il mondo scientifico e quello politico, sempre alla ricerca di nuove e sensazionali inventive per salvare il pianeta.

Siccità e desertificazione sono andate di pari passo a partire dalla Convenzione di Rio de Janeiro delle Nazioni Unite del 1994 intitolata “Convenzione per combattere la desertificazione in quei Paesi che soffrono di gravi siccità, particolarmente in Africa”, in particolare dopo la terribile tragedia del Sahel del 1976, dove oltre un milione di persone dovette ricorrere ad aiuti internazionali e dove morirono oltre 200mila esseri umani.

Oggi, il fenomeno ambientale che maggiormente colpisce l’opinione pubblica è l’evoluzione dei cambiamenti climatici, a cui è connessa la problematica della siccità.

Su questo argomento si accendono continui dibattiti e scontri ideologici tra coloro che dimostrano scientificamente la responsabilità antropogenica dei cambiamenti in atto e i negazionisti che, poveri di finanziamenti, si oppongono non tanto al riconoscimento delle variazioni climatiche in corso, ma sostengono che l’essere umano non sia il colpevole primario dei mutamenti stessi.

“L’errore sta nel fare confusione tra inquinamento e clima. Un conto è l’inquinamento, che significa immettere veleni nell’atmosfera, fenomeno di cui è responsabile l’uomo e che si può e si deve combattere. Altro è l’evoluzione del clima. Io sostengo che i motori che contribuiscono all’evoluzione climatologica sono tre: l’oceano globale (la superficie liquida del pianeta), la superficie solida (terra, alberi ecc.) e l’attività umana. Quest’ultima incide al massimo per il 10%” (Antonio Zichichi, 29/08/2017).

Così, anziché sviluppare tecnologie per la mitigazione e l’adattamento agli eventi meteorologici anomali, il mondo litiga per l’ottusità e l’ignoranza di cui è gravido, preoccupato di individuare i colpevoli piuttosto che le cause degli eventi stessi.

La siccità in Italia è un dato evidente che si è acuito durante l’estate in conseguenza di ben sei ondate di calore nei mesi di luglio e agosto 2017.

Al di là delle statistiche nazionali, che sono consultabili nel “Bollettino Siccità” al sito di ISPRA, l’aspetto che più colpisce è la fragilità e l’impotenza dei sistemi di difesa nazionali e internazionali a fronte di calamità così rilevanti per la vita degli esseri umani, per gli animali, per la vegetazione: si pensi all’uragano Harvey.

In questa dimensione di smarrimento sembrano non esistere rimedi, progetti, iniziative, insomma non c’è conoscenza della realtà ambientale, non di quella che raccontano i media, ma di quella che deriva da esperienze scientifiche. La gente comune, che legge i giornali o guarda le notizie dei TG, pensa che il proprio contributo alla sostenibilità ambientale sia lavarsi i denti usando un solo bicchiere d’acqua, farsi la barba utilizzando il lavandino come bacinella, usare il temporizzatore per la doccia quotidiana.

L’idea o la supposizione del risparmio idrico nel tessuto sociale rimane un’iniziativa di livello infantile, povera di significato e priva di connessioni con il resto del mondo, mentre gli italiani non sanno, ad esempio, che il consumo medio giornaliero pro capite di acqua è di circa litri 240 (Istat 2016), poi ci sono le perdite delle condutture, eccetera.

Di fronte a questo stato della realtà tutti vorremmo sapere che cosa accadrà nei prossimi decenni o entro la fine del secolo che stiamo percorrendo. Sotto il profilo metodologico è interessante notare che l’evoluzione del clima deve essere considerata nella complessità delle sue componenti che agiscono sull’intero globo terrestre. Le vecchie fasce climatiche studiate nella scuola elementare sono soggette a variazioni più o meno intense e più o meno rapide per quanto riguarda i limiti perimetrali delle aree di pertinenza.

Il riferimento scientifico di maggiore rilievo, in grado di formulare modelli matematici da un lato e ipotesi di previsione dall’altro, è lo stesso Ipcc che, ogni tre o quattro anni, a seconda dello stato di rilevamento dei dati climatologici, fornisce al mondo scientifico e politico autorevoli indicazioni sulle tendenze dell’evoluzione, sulla possibilità di mitigazione delle emissioni antropogeniche e sugli adattamenti necessari per dare continuità alla vita.

Per quanto riguarda il bacino del Mediterraneo, sta accadendo, da almeno mezzo secolo, un progressivo spostamento verso il Polo Nord della fascia tropicale con conseguente ampliamento della zona temperata boreale, che, a sua volta, investe ad una velocità impressionante le superfici delle terre artiche.

Le previsioni del mondo scientifico sono, al di là delle catastrofi sotto gli occhi di tutti, indirizzate a sostenere un progressivo peggioramento delle condizioni meteoclimatiche nel bacino del Mediterraneo, dovute al dominio incontrastato dell’anticiclone africano.

Forse, varrebbe la pena di mettersi a lavorare più seriamente per modificare gli stili di vita dei Paesi più sviluppati, adottando tutte le misure necessarie e conosciute per il risparmio idrico in agricoltura, nell’industria e nelle realtà urbane, sapendo che nei Paesi localizzati oltre il circolo polare artico il permafrost inizia a sciogliersi e quantità infinite di batteri si ridestano alla vita nutrendosi della sostanza organica congelata da secoli nel terreno.