Fumare cannabis aumenta di sei volte la possibilità di passare a droghe più pesanti. Lo spiega uno studio pubblicato in agosto sulla rivista Scandinavian Journal of Public Health, che ha analizzato dal 2013 quasi 4mila soggetti tra 16 e 24 anni. Lo studio si basa su un questionario proposto ai giovani, in cui veniva misurato quanto sentissero “fashion” assumere droga, e quali droghe avessero consumato nell’ultimo periodo. Il percorso della dipendenza, conclude lo studio, parte dall’assunzione di alcol e tabacco in giovane età, per passare poi alla cannabis e da questa a droghe peggiori.
A questo punto diventa un bel problema spiegare alla popolazione che è vero il contrario, come vorrebbero certi fautori della liberalizzazione della cannabis, da sempre peraltro osteggiata dal mondo pediatrico capeggiato dall’American Academy of Pediatrics. L’associazione tra cannabis, insuccesso scolastico e passaggio ad altre droghe già era stata dimostrata anni or sono sulla rivista Lancet che aveva fatto una rassegna di tutti gli studi disponibili in proposito. E che la cannabis in sé non faccia bene non è neanche questo un mistero, tanto che la letteratura scientifica mostra studi su studi che mettono in rapporto lo spinello con la perdita di memoria, con incidenti automobilistici, con insuccesso scolastico e alterazioni neurologiche e polmonari. Si sente dire che anche altre sostanze come alcol e tabacco non fanno bene e allora legalizziamo anche la cannabis: un’orribile corsa al ribasso in un momento in cui, scoperti i danni da tabacco e alcol, si studiano campagne per limitarne l’uso e la pubblicità. Invece assistiamo a indebite entrate a gamba tesa per lasciare campo ibero alla cannabis.
La via alla cannabis libera ha dietro una strategia pubblicitaria fatta di cinque stadi. a) Creare il bisogno: mostrare il quadro del disagio come superabile solo “facendosi” o creare il mito del ragazzo che è fashion se si fa di spinelli. b) I testimonial: quanti cantanti e conduttori televisivi sentiamo vantarsi o alludere con simpatia ai loro trascorsi con lo spinello? c) I casi pietosi: è l’indebito passaggio dal fatto che forse la cannabis (ma non lo spinello in sé) ha effetti utilizzabili per due o tre malattie rare al proclama che “la cannabis fa bene”. d) Il vantaggio economico: è di questi giorni la proposta in Svizzera di tassare la cannabis per aumentare le pensioni parallela ad analoga proposta di legge in Italia. e) La censura sui danni da cannabis sui massmedia. Insomma, pubblicità pura, come se si trattasse di vendere caramelle alla fragola; già nota come “disease mongering”, una strategia per spaventare e commuovere la popolazione al fine di promuovere e far comprare medicine inutili, già denunciata su molti giornali medici.
Strategia o non strategia, quello che ci angoscia è la diffusione del fenomeno. Secondo il dipartimento antidroga del Governo, il 33% della popolazione studentesca delle superiori ha fatto uso di cannabis, circa 804mila ragazzi tra i 15 e i 19 anni ha utilizzato cannabis almeno una volta nella vita, il 16% ovvero 400mila studenti ne ha fatto uso nell’ultimo mese, 90mila di questi ne fa un uso quasi quotidiano. E pare che non sia un problema procurarsela. Ma, qui il punctum dolens, come reagire?
C’è chi vuole inasprire il proibizionismo, con leggi punitive e c’è chi invece vuole una liberalizzazione completa. Ma entrambi saltano a piè pari il vero problema: perché i ragazzi delegano ad una sostanza (che sia l’alcol, la cannabis o altro) la soluzione del loro disagio? Se non si risponde a questo è puerile pensare a manovre che agiscano solo sugli effetti, vuol dire non voler affrontare il problema o farlo all’italiana, cioè agire solo sulle emergenze, quando ci scappa il morto in tv e poi lasciar perdere e non voler vedere. Come spiega la psicologa delle dipendenze americana Mandy Saligari, bisogna invece aiutare i giovani a gestire i propri sentimenti (“prima che i nostri sentimenti inizino a gestire noi”), il proprio disagio, ma in questo campo c’è una voragine, c’è il nulla: più facile per qualunque governo pensare di agire con la polizia o con le tabaccherie della cannabis piuttosto che iniziare un serio lavoro di inclusione, di apertura e abbraccio al disagio giovanile.
Lo studio svedese che citavamo all’inizio dimostra che la cannabis in sé è sia un aperitivo ad altre droghe, sia un pungiglione velenoso per la salute. Tra un po’ si apre l’anno scolastico: sarà un buon motivo per suggerire a chi di dovere di rendere le scuole non solo dispensatrici di nozioni o iniziatrici al mondo del lavoro, ma renderle più inclusive, più centri di socialità, più collaborative con le famiglie, per abbracciare il disagio dei giovani, davvero diffuso e letale.