‘O Professore. Non era mai entrato nessuno a casa sua. Nessuno aveva mai bussato. E lui nessuno aveva mai invitato. Ci sono entrati ieri, senza invito e senza bussare, a causa dell’odore di lui cadavere da quindici giorni; e non erano parenti o amici, ma vigili del fuoco e carabinieri chiamati dai coinquilini del rosso, settecentesco stabile di via Salvatore Tommasi, centro storico di Napoli.
Il suo nome è (era) Claudio Savarese, l’età 90 anni compiuti, familiari e parenti nessuno. Nessuno che lo chiamasse Claudio o signor Savarese. Per tutti quelli che lo conoscevano era ‘o professore, benché mai avesse insegnato e, a dir tutto, nemmeno propriamente lavorato. Ma era amante della musica lirica e frequentatore, sino a qualche anno fa, del teatro San Carlo; e sapeva un sacco di cose. Donde le avesse apprese, lo si è capito solo entrando post-mortem nel suo grande appartamento: invaso e sommerso in ogni centimetro quadrato da una marea di carte, libri, faldoni, vecchi giornali.
La morte di ‘o professore stringe il cuore. Sempre la morte di qualcuno, chiunque, in solitudine, stringe il cuore. Se non Madre Teresa che raccoglie il morente in una strada di Calcutta, almeno un familiare o un amico che ti tiene la mano, ti bagna la fronte, o semplicemente sta lì. Nelle case di ringhiera, o nei casolari, dove il cortile o l’aia erano di tutti e spazi e tempi privati comunicavano con spazi e tempi comunitari, era più difficile che uno morisse senza nessuno che manco se ne accorgesse. Adesso non è quasi più una notizia se non per i media locali.
Cornate, paesino lombardo sull’Adda: Salvatore trovato morto dopo cinque giorni e già in decomposizione; il feretro è rimasto giorni parcheggiato nel cimitero perché i familiari, al sud, non volevano sapere di occuparsene. Ha dovuto pensarci il comune. Marcello, 60 anni, Cagliari, morto solo come un cane. Gianni, 75 anni, Carbonara, Bari: trovato morto dopo due mesi per via di una macchia nel soffitto. Un altro Salvatore, siciliano di 72 anni residente a Bassano del Grappa: trovato il cadavere in avanzato stato di decomposizione. A Milano, zona Bonola, un cinquattottenne è stato trovato mummificato dopo 9 mesi dalla morte. E questo è solo una parte di quanto vien fuori da Google, limitandosi agli ultimi mesi.
Cioè a dire: la solitudine è una piaga sociale, degli anziani e non solo: di tutti gli abbandonati. Dall’altra parte di Milano rispetto a Bonola, cioè verso Nord, tra Bruzzano e Niguarda, in un bilocale di 40 metri dove viveva solo, venne trovato morto a 67 anni (per infarto) Walter Chiari, divo geniale e stracorteggiato finché disavventure e carcere a causa di falsi pentiti e malagiustizia non gli fecero terra bruciata attorno. Capitava che a Natale suonasse il campanello di un vecchio comune amico per non star solo almeno in quel giorno.
Ecco, un amico. E’ sempre stata a rischio di banalizzazione, la parola amicizia. Quasi come la parola amore. Adesso poi, sui social, è un clic di consenso magari a uno sconosciuto che viene ad arricchire il tuo album delle figurine. Ma senza arrivare a questo orrido e penoso estremo, è “normale” chiamare amici gente che condivide con te un qualche interesse, con cui diventi magari compagno di scopone scientifico, o di escursioni in montagna, o di piacevole se ben dosata frequentazione. Che ti vuole anche bene. Ma vuol veramente bene a te, al tuo destino? Non è detto che neanche una moglie sia davvero amica così, figuriamoci una cugina di secondo grado, un socio della bocciofila o una suocera.
‘O professore non è che non frequentasse nessuno. Con qualcuno andava a teatro, con altri chiacchierava distillando magari la sua sapienza. Ma perché non ha mai fatto entrare nessuno? E perché la sua sola compagnia erano quei giornali ingialliti? Non è facile rispondere, forse è impossibile. Forse nessuno voleva davvero bene al suo destino. O forse lui percepiva le cose come se stessero effettivamente così. Non fa gran differenza. Resta il fatto che quel tipo di amici, o conoscenti, non avevano nesso alcuno con l’intimo del suo io, con il suo “cuore”. E quindi con la sua “casa”, che a ben vedere è il luogo del cuore. Questo credo si possa dire con sufficiente sicurezza. ‘O professore non si è portato in casa un amico che sia uno, forse sentendo che non gli bastava; ha cercato di portarsi in casa il mondo, tutto quanto, di volersi bene da sé: ma per farci stare il mondo nella sua casa ha dovuto ridurlo a un mondo di carta, inchiostrata e ingiallita. Perché neanche il mondo — della cronaca, della storia — alla fine colma il bisogno del cuore. Ecco, ci vorrebbe un amico. Magari grande grande.